Baroni: «La mia cucina sostenibile tra probiotica e...pasta al burro»

Baroni: «La mia cucina sostenibile tra probiotica e...pasta al burro»

di Rita Vecchio
Piercing alle orecchie. Amante della fotografia. E tanta voglia di andare oltre l'idea classica del cuoco. Mattia Baroni pensa un passo avanti. Chef dello storico e paradisiaco albergo Bad Schörgau di Sarentino nella valle dell'Alto Adige (a pochi km da Bolzano) crea, seleziona e studia insieme al proprietario Gregor Wenter piatti che sono nelle tavole dei tre ristoranti Alpes, La Fuga - un solo tavolo da 8 commensali - e La Stube 1988, la mezza pensione come si deve. Ma ispirato da sempre dalla figura del cuoco.
E quindi voleva diventarlo fin da piccolo?
«No. Avevo un'idea vaga forse. Ma ho iniziato tardi. Quando gli altri chef erano avanti e io non sapevo nemmeno pelare patate».
Perché prima che faceva?
«La mia non è una famiglia di ristoratori, anche se arrivo dal lago di Garda, dove ristorazione e hôtellerie hanno sempre avuto il loro posticino. Andavo molto bene a scuola: mi sono iscritto a Ingegneria perché appassionato di informatica. Avevo davanti una carriera brillante, rinchiuso in un ufficio a parlare con dei server».
Però?
«Però la mia passione era viaggiare, conoscere gente. Ho deciso di lasciare bruscamente l'università (mancava poco alla laurea). Solo facendo così avrei potuto chiudere davvero una porta e aprirne un'altra: quella dell'alta gastronomia. E sono passato dall'essere tra i più bravi della classe a quelli tra i meno bravi. Non sapevo nemmeno pelare le patate, appunto».
E poi ha recuperato.
«Ho comprato una montagna di libri. Ho cominciato a leggere, a studiare. Quando si parla di cucina, si parla di arte e di idee. Va bene. Ma quello che serve è soprattutto l'approccio scientifico e la tecnica».
Che l'hanno sempre affascinata.
«Esatto. Ho iniziato a girare il mondo. Australia, Svizzera massimo sei mesi, e cambiavo stato».
Ora ha messo la testa a posto?
«Non lo so (ride). Ho una base fissa, diciamo. Mi sono sposato e ho due pargoletti, Clemens e Mia. Ogni posto è servito a qualcosa. Ma nella vita c'è sempre il passo dopo. Quando sono stato a Villa d'Este sul Lago di Como, ho imparato a lavorare con grandi numeri: arrivava il camion con i bancali di tonno, gamberi, vongole. Il tipo faceva un fischio e dovevamo correre in cucina indipendentemente dal nostro orario di lavoro. Ogni episodio in cucina è una sfida. Un modo per crearsi una linea personale da raccontare con i propri piatti».
Quindi se le chiedo qual è la sua frase?
«Da informatico, quella di Steve Jobs: «Stay hungry, stay foolish». Un gioco di parole: sono affamato di conoscenza, fuori di testa a tal punto da vedere le cose dall'alto».
Le sue parole chiave?
«Approccio scientifico. Sostenibilità. Salute. Probiotica. Prebiotica».
In sintesi?
«Materie prime locali e di produttori sostenibili, uso della terracotta e non delle plastiche. Lavorare sulla fermentazione. Progetto nuovo è quello con il centro di ricerca Laimburg per il progresso sostenibile. Usare materie di scarto (meglio chiamarle secondarie), come le teste dei salmerini nel caso del garum, o miso, kombucha e altri tipi di fermentazioni naturali che ci permettono di dare vita a prodotti probiotici, prebiotici e in sostanza salutari».
Un piatto che la riporta all'infanzia?
«La pasta al burro. Usando tutte queste tecniche».
Sogni?
«Continuare a essere non solo cuoco. Con la ricerca. Facendo ogni giorno un passo avanti».

riproduzione riservata ®
Ultimo aggiornamento: Venerdì 20 Marzo 2020, 15:53
© RIPRODUZIONE RISERVATA