Giorgio Locatelli: «Da emigrato a Masterchef con la mia Italia nel cuore»

Giorgio Locatelli: «Da emigrato a Masterchef con la mia Italia nel cuore»

di Rita Vecchio
È il nuovo volto di Masterchef. Giorgio Locatelli - italiano di nascita ma inglese di adozione - torna in Italia dopo trent'anni per il programma targato Sky. Chef stellato di Locanda Locatelli nel cuore di Londra, è il giudice dalla cucina «comprensiva e solidale».

Cosa chiede ai concorrenti?
«Sincerità».

Dica la verità: bello tornare?
«Sì. Ci voleva Masterchef. Torno in un paese che si è preso la sua rivincita: l'Italia è stata per troppo tempo la Cenerentola della cucina. Prima ci si vergognava di essere italiani, ora è un orgoglio. Italians do it better, diceva Madonna rendendoci sexy».

Però ha detto che non aprirebbe un ristorante in Italia
«Non è nei miei progetti».



La cosa più bella di Masterchef?
«La faccia fiera di mia madre di 84 anni davanti alla gente di Corgeno (frazione di Vergiate, Varese Ndr): per la serie mio figlio è emigrato per fare un lavoro e ci è riuscito. Tra le puntate, invece, l'esperienza a Roma con i ragazzi Down».

Ha sempre sognato di fare il cuoco?
«Diciamo che non ho mai fatto altro. Fare il cuoco, però, non è un sogno. Anche perché è un lavoro talmente duro che può essere anche un incubo (ride, ndr)».

E quindi come si è ritrovato in cucina?
«Mio nonno aveva un ristorante sul Lago Maggiore. Per tutti ero Giorgino. Non ero per niente un angioletto: ero terribile e non stavo mai fermo. La cucina era il posto sicuro e il forno il nascondiglio dalle monellerie. Ho iniziato a cucinare per tenermi calmo. Ancora adesso, quando sono nervoso, mia moglie mi manda in cucina (ride di nuovo, ndr)».

E poi?
«Ho cominciato a pelare casse intere di frutta per mega banchetti. Finché un giorno mia nonna mi cucì la giacca da cuoco. Lì ho capito che non l'avrei più tolta».

Strada difficile?
«La mia era una generazione di maledetti: a differenza di oggi, nessuno voleva stare in cucina. La Francia comandava e se non facevi esperienza a Parigi non eri nessuno. Così sono andato dal tristellato Manuel Martinez di La Tour d'Argent».

Com'è stato?
«Un inferno. Ho imparato il significato della parola umiliazione. Professionalmente ineccepibile, ma umanamente pessimo. Pensi che non mi ha mai chiamato con il mio nome. Ho sofferto ma non ho ceduto. Sono stato un anno e mezzo. Lì però ho imparato a leggere i libri di cucina».

Lo fa ancora adesso?
«Sì. Ne ho circa 2500 che metto a disposizione della mia brigata. Trasmettere il sapere mi eccita ed è il migliore piatto che uno chef possa fare».

Cosa risponde a chi le chiede di iniziare con lei?
«Apro le braccia. Ma non faccio sconti».

Muri da abbatere?
«Le donne: in cucina sono ancora troppo poche».

Dopo Masterchef?
«Scrivo un libro sul vegetarianismo e veganismo».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 14 Febbraio 2019, 18:15
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