Stefano Mazzone: «Dalla politica alla brace, amo krapfen e pomodoro»

Stefano Mazzone: «Dalla politica alla brace, amo krapfen e pomodoro»

di Rita Vecchio
Da piccolo era un appassionato di politica che non immaginava, certo, di passare la sua vita dietro ai fornelli. Eppure, in cucina ci è finito. E con successo e umiltà. L'esordio di Stefano Mazzone è nella scuderia di Gualtiero Marchesi. E da 13 anni è lo chef del Grand Hotel Qvisisana di Capri.



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Voleva diventare anche lei ministro?

«Si certo, Mazzone il ciambellano di corte (ride, ndr). La politica mi ha sempre affascinato. Leggevo molte riviste, seguivo comizi come gli studenti dei miei anni, prima che la politica prendesse, una strada disastrosa. Chi è al potere oggi si dovrebbe occupare molto di turismo. Siamo sdegnati di fronte alla totale assenza di attenzione. È il turismo che oggi può guidare tutto».

Dalla politica alla brace?
«Nello scegliere di fare il cuoco non ho avuto la stessa folgorazione che aveva avuto l'apostolo Paolo sulla via di Damasco (ride, ndr). Sono l'ultimo figlio - insieme a mio fratello gemello, di cinque - di genitori siciliani emigrati a Treviso che si sono separati subito dopo che sono nato. A mettermi alla prova, mia madre. Insegnante tostissima di matematica che regolarmente ci chiedeva di preparare l'acqua per la pasta. Una volta il pentolone mi si è rovesciato sulla schiena: episodio che aveva già segnato la mia strada, in tutti i sensi. Scherzi a parte, è stato un corso di pasticceria a farmi entusiasmare davvero. Facevo krapfen in continuazione. E ancora ora sono nel menu. Ho studiato all'alberghiero, ma dopo il diploma - non dando retta sempre a mia madre - mi sono iscritto a Economia con esito fallimentare».

E poi?
«Ho fatto tanti lavori, da rappresentante a operaio in una catena di montaggio di macchinette per caffè. Oltre che uscire tutte le sere, da vero giovane quando hai sempre qualcosa da festeggiare. E purtroppo una sera, casualmente il giorno in cui presi la patente, invece che usare la mia macchina sono salito su quella di un amico. Avevamo bevuto e la macchina è finita fuori strada. I segni li porto ancora ora sul volto. È dopo il periodo di assenza forzato che sono tornato in cucina. Apprezzandone il valore».

E da quel momento, non ha più cambiato idea.
«Ho scelto Marchesi, lavorando con Berton e seguendolo per un po'. Fino ad arrivare a Taormina e poi a Capri. A guidarmi, l'entusiasmo, la curiosità e la voglia di innovazione. Sarà per questo mio carattere che sono affascinato dalla cucina futurista, ancora troppo poco conosciuta ma che ne ha segnato l'evoluzione».

Il suo ingrediente?
«Il pomodoro. Ne sono innamorato».

La sua creatività, invece, da cosa nasce?
«Dalla memoria. È la mia fonte di ispirazione. Come uno dei miei piatti storici: lo sgombro. Mi ricorda le passeggiate a Messina con mio padre».

La stella?
«Per ora ci si deve accontentare solo delle 5 dell'Hotel. Ma sarebbe bello averla».

Il suo punto di forza?
«Lo stilista Valentino ha deciso di festeggiare il compleanno qui da noi solo dopo averci conosciuto come persone. Ecco, forse quello di non dovere apparire per forza. È questo che nella vita fa la differenza».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 20 Settembre 2019, 14:03
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