Capo animatore assolto, non violentò ventenne: «Ricordo ancora le manette ai polsi e la paura di non farcela»

Capo animatore assolto, non violentò ventenne: «Ricordo ancora le manette ai polsi e la paura di non farcela»
Assolto «perché il fatto non sussiste» il capo animatore turistico 28enne di origine siciliana, accusato di violenza sessuale aggravata, nei confronti di una ragazza 20enne, sua collaboratrice. Il giovane, dopo quell'accusa, ha passato l'inferno: è stato per un mese in carcere e poi agli arresti domiciliari. Per il 28enne ora è la fine di un incubo. Dice di essere sollevato: «La verità è stata accertata, di questo sono felice ma è impossibile cancellare la mia sofferenza e quella della famiglia, per un’accusa gravissima e totalmente infondata».

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«È difficile esprimere i sentimenti che provo  - afferma il capo animatore - Mai potrò dimenticare lo sguardo e gli occhi di mia madre quando le comunicai che i carabinieri della stazione vicino casa stavano per trasferirmi nel carcere Pagliarelli di Palermo, perché ero accusato di violenza sessuale per aver stuprato una ragazza che lavorava con me. Mi sembrava tutto un brutto incubo. Le lacrime di mia madre, le manette ai polsi, gli agenti che mi portavano in carcere, un ricordo indelebile». Il racconto della sua prima notte trascorsa in cella è agghiacciante: «Non ho dormito mai - continua il 28enne - gli altri detenuti che mi chiedevano: “ma tu cà chi ci fai? A cu apparteni? Chi facisti cu sta facci?”. Non dissi nulla, avevo paura. Ero chiuso in cella con persone che non conoscevo e con le quali non avevo nulla a che fare. La notte piangevo e pensavo: “Come è possibile? Che ci faccio io qui?” Qualche detenuto mi parlava, mi consigliava. Ne sentivo di tutti i colori e non sapevo cosa fare. I miei genitori venivano a colloquio e non smettevano di piangere. Ero disperato. In cella solo in mezzo ai lupi avendo sulle spalle un’ accusa infamante».

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Poi, su consiglio di un detenuto, cambia difensore. Un avvocato giovane come lui che gli disse: «Salvo io penso che tu sia innocente. Ti farò uscire di qua». Dopo una settimana gli vennero concessi gli arresti domiciliari. «Ero sempre detenuto, ma a casa - afferma ancora il giovane - con i miei genitori e fratelli. Fu il primo momento di luce. Una piccola luce lontana in fondo al tunnel. A casa il tempo non passava mai e il mio cervello faceva mille pensieri, avevo mille paure, mille preoccupazioni. Poi, dopo 10 mesi di reclusione e diverse richieste di liberazione andate male, finalmente è arrivato il processo per dimostrare la mia innocenza, per fare emergere la verità. Ero fiducioso, sapevo che i fatti non erano andati come affermava la presunta vittima, sapevo che i miei colleghi avrebbero detto la verità e speravo che il mio avvocato sarebbe riuscito a dimostrare che le accuse erano solo menzogne. Ho sempre creduto nella giustizia. I giudici, durante il processo, erano attenti a ogni parola - e ripete - la sentenza è stata la fine di un incubo». La vicenda che risale al mese di agosto del 2019, quando l’uomo, secondo l’accusa, avrebbe costretto la donna, con violenza e minacce, a subire e a compiere atti sessuali all’interno di una stanza riservata al personale, ubicata in una struttura alberghiera dell’Alto Sangro, nel Parco nazionale d'Abruzzo, dove i due erano impiegati per il periodo estivo. Tutto questo - dice l'accusa - per un approccio non corrisposto nell'ambito di una relazione tra i due. Poi le accuse della donna formalizzate in una querela, l’applicazione della misura cautelare, il processo a Sulmona e  martedì 21 luglio l’assoluzione.

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Ora che è stato assolto, che la giustizia ha stabilito che non è responsabile,  il giovane ha deciso di sporgere denuncia per calunnia contro la ragazza che ha puntato il dito contro di lui. «Le risultanze probatorie non sono state considerate insufficienti - spiega Paolo Amato, difensore del giovane - anzi sulla base di quanto emerso nel dibattimento, tutte le accuse sono risultate infondate. Tutti i testi sentiti hanno smentito quanto dichiarato dalla persona offesa. La formula assolutoria usata, il fatto non sussiste, ha dato contezza del fatto che l'episodio denunciato non si sarebbe verificato. Dopo la definizione del presente procedimento, l’imputato presenterà querela per calunnia contro la presunta vittima».

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Il pm al processo aveva chiesto la condanna ad otto anni di reclusione, ma il Collegio giudicante, composto dal presidente Marco Billi, a latere Francesca Pinacchio e Marta Sarnelli, ha deciso per l’assoluzione. La vittima era assistita dall’avvocato Alessandro Scelli. Quest’ultimo, solleciterà la Procura, a presentare appello, dopo la lettura delle motivazioni.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 23 Luglio 2020, 09:56
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