L'Ingv: «L'allarme terremoto in Abruzzo non è ancora finito»

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di Stefano Dascoli
Il problema-terremoto in Abruzzo non può essere gettato alle spalle. Nonostante l’esperienza aquilana del 2009 abbia generato un know-how irripetibile e prodotto molti risultati utili, si pensi per esempio agli studi sulla micro zonazione sismica, permangono delle criticità in un territorio che resta ad alto rischio. Ha detto questo, in sintesi, la giornata organizzata ieri dall’Ingv all’Aquila, una full immersion per fare il bilancio sul quadro delle conoscenze scientifiche e normative a dieci anni dal terremoto. «Abbiamo imparato tantissimo – ha detto il presidente Ingv, Carlo Doglioni – Ora dobbiamo guardare avanti, radicandoci sempre più nello studio dell’Abruzzo e dell’Italia, comprendere i meccanismi per fornire occasioni utili a cittadini e operatori. C’è stata sottovalutazione del rischio sismico? In generale sì, anche perché poi c’è la necessità del cervello di dimenticare i fatti negativi. Dobbiamo superare questo e lavorare, in tempo di pace, per rendere la società in grado di resistere ai terremoti».

Il rischio di nuovi terremoti, per Doglioni, permane: «L’Abruzzo è una delle zone a maggiore pericolosità. Le parti attivate nel 2009 e nel 2016 sono solo una piccola parte. Basta ricordare il terremoto di Avezzano nel 1915. C’è tutta la parte centro-meridionale dell’Abruzzo, come altre regioni del resto, che può ancora rilasciare energia. E’ importante da subito fare prevenzione, evolvendo le conoscenze per dare informazioni corrette ai tecnici». Per il presidente Ingv «la sequenza 2016 sta rallentando, ma non è ancora finita. E’ lunghissima, c’è ancora energia da liberare, forse proprio perché è un tipo di terremoto legato a un fenomeno estensionale». La correlazione con i fatti del 2009 riguarda solo il “sistema Appennini” nel suo complesso, per il resto, dice Doglioni, «sono segmenti crostali separati, che hanno evoluzione diversa, ci aspettiamo che elementi simili possano attivarsi in altre zone, anche nell’Abruzzo». L’idea di Ingv è rafforzare il centro di ricerca aquilano: proprio l’altro giorno c’è stato un incontro con l’Università. «Vogliamo creare una collaborazione più forte con studenti, ricerche, lavori sulla pericolosità sismica e i parametri ambientali utili ai cittadini» ha detto Doglioni. Anche il docente Paolo Boncio, Università di Chieti, ha detto che «l’attenzione deve rimanere alta, ci aspettiamo altri terremoti, non sappiamo quando»: «Vanno utilizzati gli strumenti a disposizione, al meglio».
 

Mauro Dolce, uno dei responsabili del Progetto Case, ha illustrato gli enormi passi avanti della normativa e della micro zonazione sismica. Ma ha anche sottolineato che per la prevenzione strutturale servirebbero fondi record. Dopo il sisma del 2009 sono stati stanziati 965 milioni in sette anni, con i quali è stato fatto un migliaio di interventi. Il fabbisogno è circa cento volte maggiore. Un concetto rafforzato da Maria Basi, della Protezione civile regionale, che ha fornito altri dati: per gli edifici strategici pubblici sono stati attivati 53 milioni che hanno dato luogo a 54 interventi, di cui 15 conclusi. Servirebbero ancora 138 milioni, di cui oggi non v’è traccia, per 1.400 immobili in regione. Per le scuole ancora peggio: i fondi dell’art. 32 bis del Dl 30.9.2003 numero 259 ammontavano a 723 mila euro l’anno, quindi pochissimi (tra 2008 e 2017 solo 16 interventi per circa 6,5 milioni). Altri spunti interessanti sono arrivati dall’urbanista Donato Di Ludovico, che ha sottolineato l’assenza di una strategia complessiva per L’Aquila: «Ci sono solo progetti slegati tra loro, i nodi centrali non sono stati affrontati. Sulla forma della città non ci sono studi specifici. I cittadini non hanno incrementato i loro redditi, nonostante i 10 miliardi arrivati». Evidenziata l’esigenza di attivare non solo piani emergenziali, ma anche pre-disastro.
Ultimo aggiornamento: Domenica 16 Giugno 2019, 19:35
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