«Tutti pazzi per la serie degli azzurri del 76? Quell'Italia del tennis piace perché è vera»

«Tutti pazzi per la serie degli azzurri del 76? Quell'Italia del tennis piace perché è vera»

Adriano Panatta protagonista al cinema e in tv con una docu-serie sul tennis anni 70 e sulla vittoria della Coppa Davis, unica nella storia dello sport italiano.


Un successo di critica, se lo aspettava?
«Una squadra, il titolo della serie, rappresenta una bella storia, molto umana che va oltre la cifra sportiva. Il regista Procacci è stato un mago nel montaggio, tra l'altro. Piace alla gente perché c'è tanta sincerità e spontaneità. Eravamo giocatori molto diversi tra noi ma insieme riuscimmo a vincere tutto. Con noi l'Italia ha conquistato l'unica Coppa Davis nel tennis, insieme ad altre tre finali».

 


Dopo la tre giorni al cinema, sabato prossimo la prima puntata su Sky. Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli andarono in Cile per la finale di Davis contro tutto e tutti nel 1976, quando c'era il dittatore Pinochet.
«Facemmo bene ad andare, lo sport non è politica. Pensate a quello che sta accadendo adesso ai tennisti russi esclusi Da Wimbledon. Sbagliato cacciarli, una cosa stupida. Loro giocano a titolo individuale; pensate a Rublev, top 10 del mondo, che ha scritto la parola Pace su una telecamera tv dopo un incontro vinto. Colpire i giocatori è ingiusto, speriamo che Wimbledon resti un caso isolato nel tennis».

 


Sono partiti gli Internazionali d'Italia di Roma, torneo che Panatta ha vinto nel 1976. Sarà un duello tra i due grandi vecchi Djokovic e Nadal o sarà finalmente il momento dei più giovani?
«Il cambio di valori è nell'aria, ma non c'è stato ancora del tutto. Il miglior Nadal non l'ho visto in campo a Madrid (ha perso da Alcaraz che però non ci sarà a Roma, ndr) e Djokovic resta un'incognita dopo lo stop di inizio anno. Io da questi Internazionali, comunque, mi aspetto sorprese».

 


E gli azzurri? Non ci sono Berrettini e Musetti, ci resta Sinner.
«Jannik è fortissimo anche se negli ultimi tempi non è andato al massimo, ma bisogna dargli tempo, ha cambiato da poco allenatore e sta lavorando duro; è un campione già a vent'anni, può sorprenderti in ogni momento».

 


Perché Adriano Panatta piace tanto ai giovani?


«Non ho una risposta e nemmeno la voglio avere. So come sono fatto, sincero sempre, che non le manda a dire, senza giri di parole. Sono così e resterò così; mi piace essere diretto, non il consenso». Leggi l'articolo completo su
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