Nello sport, e nel calcio in particolare, si sa, la riconoscenza non esiste. Lo ha imparato a sue spese Paolo Maldini, bandiera del Milan per oltre vent'anni da calciatore (e capitano), che quattro giorni fa ha visto terminare in modo brusco e inaspettato la sua esperienza come capo dell'area tecnica del club rossonero. Un ruolo che aveva ricoperto dal 2019, quando - dopo un anno di 'gavetta' al fianco di Leonardo - ha preso in mano le sorti della squadra, e nell'arco di tre stagioni l'ha guidata verso uno scudetto, quello del 2022, bello quanto impronosticabile.
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Maldini licenziato dal Milan
Da lunedì scorso, come detto, Maldini non è più un dirigente del Milan: licenziato con effetto immediato, come gli è stato comunicato in modo secco dal proprietario del club, Gerry Cardinale, CEO del fondo RedBird. Negli ultimi giorni tante sono le ipotesi che si sono susseguite sui giornali per spiegare quanto accaduto: i tifosi sui social si sono divisi, gli esperti anche, ma come siano andate davvero le cose, lo sanno ovviamente soltanto i diretti interessati.
A diradare le nubi, due giorni fa, ci ha pensato il presidente rossonero Paolo Scaroni: Maldini, ha detto, «si sentiva a disagio nel lavorare in team», come richiesto dalla nuova proprietà dopo che Elliott ha passato la mano, alla fine della scorsa estate.
Il flop del mercato
Tanto si è detto, tanto si è scritto: Maldini avrebbe pagato un mercato sbagliato, soprattutto il flop di De Ketelaere (ma quale direttore sportivo non sbaglia mai?). E ancora: Maldini voleva troppa autonomia, voleva un budget troppo alto per il mercato, mentre la proprietà gli ha chiesto di fare cassa con il player trading. E ancora, si è detto: Maldini voleva esonerare Pioli e sostituirlo con il suo amico Andrea Pirlo, ma la proprietà gli ha opposto un secco rifiuto perché ha fiducia in Pioli. Ma qual è la verità? Com'è andata davvero? Forse lo scopriremo nelle prossime ore, quando finalmente lo stesso Maldini romperà il silenzio (sempre nel caso voglia davvero farlo).
Pioli non parla
Quello che però fa tanto rumore, e a quattro giorni dall'esonero è un rumore crescente che diventa sempre più assordante, è il silenzio di Stefano Pioli. L'allenatore chiamato "coach", all'americana, dalla comunicazione del Milan nel comunicato in cui si ufficializzava (un po' freddamente, in verità) l'addio a Paolo Maldini. L'allenatore che dallo stesso Maldini era stato difeso a spada tratta anche nei momenti difficili, come il 5-0 di Bergamo di dicembre 2019, o come la tempestosa primavera del 2020, quando Boban si scontrò frontalmente con Gazidis - che voleva la rivoluzione Rangnick - e lo stesso Maldini mise a rischio anche il suo stesso lavoro per convincere la proprietà a puntare su Pioli.
E come dimenticare anche lo scorso gennaio, quando i rossoneri misero insieme una serie impressionante di risultati negativi, con una difesa allo sbando, una squadra dalle gambe molli, un gruppo che sembrava sfaldato. Forse il momento più cupo degli ultimi anni del Milan, che sembrava ripiombare nell'incubo: e anche Pioli ci aveva messo del suo, con continui cambi di modulo e scelte di formazione discutibili. Anche in quelle settimane però Maldini non aveva mai messo in discussione il tecnico. Che però per adesso tace: d'altronde, come detto, la riconoscenza non esiste. Ma anche la memoria, in questo caso, è parecchio corta. Leggi l'articolo completo su
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