Viggo Mortensen al Festival di Cannes: "La serie de Il signore degli anelli? Non vedo l'ora di vederla"

Viggo Mortensen (Foto Ufficio stampa Festival di Cannes - Venturelli/Wireimage)

Viggo Mortensen porta in scena uno dei personaggi più disturbanti e ossessivi del Festival di Cannes 2022. Merito di Crimes of the future, certo, firmato da David Cronenberg con cui torna sul set per la quarta volta. Nella pellicola distopica interpreta un artista d’avanguardia che usa come performance pubblica l’esposizione dei propri organi in un processo di trasformazione ed evoluzione secondo la quale di fatto l’uomo si fonde con l’ambiente circostante.

Dopo la premiere, controversa e magnetica, il 63enne attore newyorkese ha aperto una finestra sulla sua carriera, tra aneddoti bizzarri e scelte ponderate all’American Pavilion sulla Croisette.

 

Cosa l’ha colpita di Crimes of the future e come fa a risuonare incredibilmente attuale, pur essendo stato scritto 24 anni fa?

È frutto del meticoloso lavoro del regista, che non ti spiega tanto, non fa prove né prepara storyboard ma affida ai suoi attori la libertà di dar vita al copione. Avevamo solo sei settimane quindi di solito la scena veniva girata in un solo ciak, ma c’era sempre spazio per gli imput e le idee last minute.

Come ha conosciuto Cronenberg?
Eravamo entrambi a Cannes, nel 2001, ad un party, e siamo stati presentati brevemente, poi ci siamo incontrati a Los Angeles nel 2004 e lì siamo entrati in connessione al punto che oggi posso considerarlo un vero amico.

Lei ha la reputazione di essere pignolo nella scelta dei copioni. È vero?

Da fan del cinema penso e ripenso molto prima di accettare un progetto. So bene che è un impegno gravoso, un viaggio lungo almeno un anno e mezzo e non voglio fare qualcosa di cui potrei vergognarmi o che vorrei evitare di commentare durante le interviste.

Oggi ha la libertà di selezionare le sceneggiature. Non è da tutti…

Non avere l’ansia di pagare le bollette mi ha permesso un lusso incredibile, ossia abbracciare progetti anche senza guadagnarci nulla o al massimo da produrre.

Quanto contano per lei i premi?

Sono un trampolino di lancio che spinge la gente a vedere i film, ma non ne sono ossessionato, né serbo rancore se non vinco.

Qualche esempio?

Correva l’anno 1999 quando Cronenberg ha assegnato la Palma d’oro a Rosetta dei fratelli Dardenne. Successe il finimondo perché Pedro Almodovar disse che il suo film Tutto su mia madre è stato derubato della vittoria. Simili comportamenti mi ricordano quelli di Trump con le elezioni. Che str***ate! Quella volta, invece, la votazione fu lampo e unanime, quindi non c’è nulla di vero in quelle accuse. E lo dico con rispetto perché Almodovar è un grande artista, ma non ti si può scippare qualcosa che non ti è mai appartenuto.

Come reagisce, invece, alle critiche?

Me le lascio scivolare addosso. Di Green Book, ad esempio, hanno detto che non era una storia vera, che i personaggi non erano davvero amici e via dicendo. Ma so che situazioni del genere in questo ambiente accadono, soprattutto se si decontestualizza una frase e si scatena il finimondo sui social, affossando poi un film. Io allora cerco di essere prudente e di chiedere scusa se ho fatto o detto qualcosa d’impreciso. In fin dei conti però tutto questo fa parte della vita.

Ha imparato questa lezione dalla pandemia?
Da questo periodo ho imparato ad adattarmi e ad andare oltre, prendendo quello che la vita ti offre. Crimes of the futures, ad esempio, doveva essere girato in Canada ma siamo finiti in Grecia con 40-45°, in edifici senza aria condizionata, con addosso abiti pesanti. Ma sai una cosa? Alla fine fai amicizia con i tuoi problemi e cerchi di tirarne fuori il meglio. Quindi vivo alla giornata, soprattutto quando ci sono cose fuori dal mio controllo.

La maturità aiuta?

Certo, perché quando invecchi puoi irritarti o negare quello che ti disturba, ma io preferisco la filosofia di Cronenberg e riderci su.

Ripensa ancora al suo ruolo-svolta carriera ne Il signore degli anelli?

In realtà lo stavo rifiutando. Se non fosse stato per il mio figlio all’epoca undicenne che era grande fan non so se avrei accettato. Ero convinto fosse un prodotto di nicchia per lettori di Tolkien. Peraltro avevo passato i provini molto tardi e gli altri attori avevano già iniziato a fare le prove. Ma oggi lo ringrazio per avermi aperto tante porte, non lo rinnegherei mai.

Come si è convinto?
Anche durante le riprese ero scettico, perché pensavo che in Asia non sarebbe andato bene ma un produttore mi disse che c’erano molti rimandi alla filosofia dei samurai e che presto un’orda di ragazzine giapponese sarebbe impazzita per Orlando Bloom. Aveva ragione!

Vedrà la serie, su Prime Video dal 2 settembre?
Certo, come potrei perdermela?

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