Lo dimostrano i primi test fatti in provetta e su modelli animali dai ricercatori dell'Università di Washington e dell'Università della California, che pubblicano i risultati su The Journal of Experimental Medicine. «È così frustrante sottoporre un paziente al trattamento più aggressivo possibile, per poi vedere il tumore che ritorna a pochi mesi di distanza: per questo ci siamo chiesti se la natura potesse offrirci un'arma per colpire le cellule che sono le principali responsabili delle recidive», spiega Milan Chheda dell'Università di Washington.
Il pensiero è subito corso al virus Zika, divenuto una minaccia globale al tempo delle Olimpiadi di Rio del 2016. «Abbiamo ipotizzato che la sua predilezione per le cellule progenitrici neurali potesse essere usata contro le staminali del glioblastoma», aggiunge il ricercatore Michael Diamond. Testato in provetta su cellule prelevate dai pazienti, il virus Zika ha dimostrato di colpire preferenzialmente le staminali del glioblastoma piuttosto che le cellule sane o le altre cellule dello stesso tumore.
Iniettato nei topi malati, il virus ha rallentato la progressione del glioblastoma aumentando la sopravvivenza. L'esperimento è stato ripetuto con successo usando un secondo ceppo di Zika meno aggressivo, che può essere facilmente contenuto dal sistema immunitario in modo da non diffondere nell'organismo. Se nuovi studi dimostreranno l'incapacità del virus di contagiare altre persone o di diventare più aggressivo, in futuro potrebbe essere impiegato per potenziare l'effetto delle terapie tradizionali. Leggi l'articolo completo su
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