Mattarella cita Einaudi e avverte M5S e Lega: nel '53 non ascoltò la Dc e scelse lui il premier

Mattarella cita Einaudi e avverte M5S e Lega: nel '53 non ascoltò la Dc e scelse lui il premier
«Cercando sempre leale sintonia con il governo e il Parlamento, Luigi Einaudi si servì in pieno delle prerogative attribuite al suo ufficio ogni volta che lo ritenne necessario». È un passaggio dell'intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Dogliani.  «Fu il caso illuminante del potere di nomina del presidente del Consiglio dei ministri, dopo le elezioni del 1953 per la quale non ritenne di avvalersi delle indicazioni espresse dal principale gruppo parlamentare, quello della Dc», aggiunge.


Quella di Luigi Einaudi fu una presidenza «tutt'altro che notarile», sottolinea poi il capo dello Stato ricordando lo statista piemontese a Dogliani nel 70esimo anniversario del suo discorso di insediamento al Quirinale. Einaudi «sapeva che i suoi atti avrebbero fissato confini all'esercizio del mandato presidenziale», aggiunge Mattarella.

Quello del presidente della Repubblica è un ruolo di «tutore dell'osservanza della legge fondamentale della Repubblica», ricorda ancora il capo dello Stato citando Einaudi.

Era «tale l'importanza che Einaudi attribuiva al tema della scelta dei ministri, dal volerne fare oggetto di una nota, nel 1954, in occasione dell'incontro con i presidenti dei gruppi parlamentari della Dc, dopo le dimissioni del governo Pella», ricorda ancora il presidente Mattarella. «È, scrisse nella nota, dovere del Presidente evitare si pongano precedenti grazie ai quali accada che egli non trasmetta al suo successore, immuni da ogni incrinatura, le facoltà che la Carta gli attribuisce».

«Einaudi, riferendosi alla prerogativa del sovrano (e, vien da pensare, interrogandosi implicitamente sul ruolo del presidente della Repubblica), osservava che essa «può e deve rimanere dormiente per lunghi decenni e risvegliarsi nei rarissimi momenti nei quali la voce unanime, anche se tacita, del popolo gli chiede di farsi innanzi a risolvere una situazione che gli eletti del popolo da sé, non sono capaci di affrontare», sottolinea ancora il presidente.

«Solo una società libera e robusti contropoteri avrebbero impedito abusi»: questa, secondo il presidente della Repubblica, fu una delle «convinzioni più profonde» dello studioso Einaudi che, «sin dal suo messaggio alle Camere riunite in occasione del giuramento ricordò il ruolo di 'tutorè dell'osservanza della legge fondamentale della Repubblica.


«La divaricazione tra le forze politiche legittimate a guidare il Paese e le forze politiche alle quali era assegnato il ruolo di opposizione non si tradusse mai in una democrazia dissociativa che avrebbe reso la Repubblica fragile e debole». Il presidente della Repubblica ricorda poi così la «democrazia in bilico» del Dopoguerra nel 70esimo anniversario del giuramento di Luigi Einaudi da presidente della Repubblica. «Erano avvenute scelte divaricanti, con la costituzione di governi che avevano lasciato alle spalle la straordinarietà dell'unità tra le forze politiche rappresentata dal Comitato di Liberazione Nazionale - aggiunge il Capo dello Stato -. I risultati delle elezioni generali del 18 aprile 1948 avevano rappresentato lo spartiacque che avrebbe segnato i decenni successivi. E la democrazia uscì vincente dalla prova».

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