Centrodestra in piazza a Roma, Salvini dal palco: «Sedetevi, evitiamo polemiche»

Il centrodestra scende in piazza a Roma per una manifestazione senza vessilli di partito e composta, con circa 4mila sedie piazzate davanti al palco dove parleranno i leader. Una kermesse a piazza del Popolo, con tanto di termoscanner e gel da distribuire e regole di distanziamento sociale da rispettare, per presentare il programma alternativo alla «palude» di questo governo. Salvini e Meloni puntano all'avviso di sfratto a Conte, tentano la spallata estiva al presidente del Consiglio, chiedono le elezioni.


Insieme a Matteo Salvini, Giorgia Meloni ed Antonio Tajani, sono presenti in piazza anche numerosi parlamentari come Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri e Claudio Durigon, chiamato per l'occasione a infiammare il pubblico e ricordare le misure di sicurezza. 
 

«Sedetevi, per favore, evitiamo inutili polemiche, che tra poco iniziamo», ha detto Salvini, dal palco. Di fronte a lui una piazza con molte persone ma non completamente piena. Alcuni settori sono rimasti vuoti, probabilmente per le previsioni meteo. Spazi che probabilmente resteranno vuoti visto che la possibilità di entrare è a invito o su accredito.

«Dietro queste bandiere ci sono milioni di italiani che invocano libertà: sono anni che veniamo governati da chi non è eletto. Tutto è iniziato da una sentenza ai danni di Berlusconi cacciato dal Senato da una plotone di esecuzione. Ora vogliono far passare a Salvini lo stesso che ha passato Berlusconi», ha detto il vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani, aprendo la manifestazione. «Dietro queste bandiere ci sono milioni di italiani che invocano libertà: sono anni che veniamo governati da chi non è eletto. Tutto è iniziato da una sentenza ai danni di Berlusconi cacciato dal Senato da una plotone di esecuzione. Ora vogliono far passare a Salvini lo stesso che ha passato Berlusconi». 

«Forza Italia e tutto il centrodestra ha anteposto il tricolore alle proprie bandiere di partiti, l'Italia agli interessi di parte», ha proseguito. «Bisogna rivoluzionare la giustizia penale e civile: i processi lumaca ci costano il 2% di Pil. Dicono che siamo divisi, siamo tre partiti differenti, ma sappiamo fare sintesi. Noi abbiamo candidati unitari alle regionali, loro stanno ancora cercando un'intesa. La via maestra è andare al voto, sperando che ci facciano votare. Siamo alternativi a loro, perchè difendiamo sempre la libertà. Loro con la Cina, noi con i ragazzi di Hong Kong, noi con il popolo venezuelano, loro con il regime di Maduro». 

«Grazie per aver rinunciato al mare, per aver voluto esserci - ha esordito Giorgia Meloni - Avremmo potuto dire nulla ma mettere solo insieme due immagini: loro chiusi nella loro villa, nel Palazzo, e noi, il popolo, in mezzo alla gente, in Piazza e per questo che facciamo paura». «Non ci farete trasformare le mascherine in bavagli, non abbiamo paura». 

«I decreti di Conte ricordano il trivial pursuit, quando uno chiede i nomi dei sette nani, hanno nomi bellissimi, rilancio, ma poi uno se li scorda...Se Conte vuole che ci confrontiamo ci mandi proposte concrete da discutere, idee, se ce le hanno, ma forse non le hanno. La verità è che non hanno uno straccio di idee per la nazione». «Avete chiuso le scuole, i tribunali, perfino il Parlamento e non eravate in grado di regolare la burocrazia? Non è colpa della burocrazia, ma colpa vostra che non siete stati capaci di fermarla».


«Anche stavolta, per questo governo, il clandestino viene prima di tutto, prima degli italiani, secondo le regole del politically correct. Combattono la violenza contro le donne, ma se il violentatore è un clandestino viene prima lui», ha attaccato Meloni. «Con la sanatoria del governo verranno regolarizzati tutti i clandestini». E poi: «C'è una parte della magistratura che si vuole sostituire alla politica: nessuno ha mai indagato ministri per favoreggiamento di immigrazione clandestina. C'è una parte della giustizia che ha perseguitato Berlusconi sino a farlo decadere. Quanto deve durare? Serve una riforma della giustizia, basta, basta».

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