Valeria Arnaldi Circa novemila. Tante sono le firme raccolte dalla Fondazione

Valeria Arnaldi Circa novemila. Tante sono le firme raccolte dalla Fondazione
Valeria Arnaldi
Circa novemila. Tante sono le firme raccolte dalla Fondazione Carolina - intitolata a Carolina Picchio, prima vittima acclarata di cyberbullismo in Italia, suicidatasi nel 2013 - nella petizione online Fermiamo lo Squid Game, lanciata su Change.org e diretta alla Commissione parlamentare per infanzia e adolescenza.

Sconsigliata agli under 14, la serie proposta da Netflix, incentrata su giochi infantili nei quali chi perde muore, in realtà si è diffusa rapidamente tra i giovanissimi, anche alla scuola primaria, e si è fatta modello per nuove modalità di gioco. Sono oltre sessanta le segnalazioni giunte alla Fondazione da tutta Italia. «Mio figlio ha picchiato la sua amichetta mentre giocava a Squid Game», afferma un genitore. Un altro spiega: «A mia figlia hanno rovesciato lo zaino fuori dalla finestra perché ha perso a Squid Game». I racconti si susseguono. Cambiano le scuole, mutano i giochi, non il pegno da pagare in caso di sconfitta: essere picchiato da chi ha vinto. Anche chi non vuole giocare viene punito. «I miei figli non sono stati invitati alla festa del loro compagno, perché non vogliono giocare a Squid Game», dice un genitore. L'emarginazione è una delle penitenze. La più diffusa è lo zaino rovesciato in classe oppure dalla finestra, per umiliare chi non partecipa. E magari farlo piangere, che sia con uno schiaffo o una parola.
«La petizione è una provocazione - commenta Ivano Zoppi, segretario generale Fondazione - serve per sensibilizzare genitori, opinione pubblica e istituzioni. I minori vanno tutelati, anche nella dimensione digitale, dove prendono visione di contenuti distorti, che non possono comprendere ma riescono a replicare perché verosimili. Come i giochi di Squid Game». Ecco allora un, due, tre stella - l'orologio di Milano fa tic tac - e il tiro alla fune, con felpe e giubbotti annodati. Insomma, i giochi classici ma con schiaffi e punizioni per chi perde.

«La prima segnalazione è arrivata dalla mamma di un'alunna della materna e tante altre sono giunte pure dalle primarie. Sono anni che cerchiamo di spiegare che bambini e preadolescenti non possono vivere autonomamente il web. Il problema non è lo streaming e la soluzione non è solo nel parental control. Il web e i social propongono recensioni, meme, video sull'onda della viralità. Per non parlare dei link su Telegram. La questione non è tecnologica, ma educativa e riguarda tutti noi. Siamo già stati contattati dalle istituzioni e confidiamo sia presto attivato un primo tavolo di confronto sul benessere digitale dei minori. Intanto a Torino, con Casa Benefica, giovedì presenteremo un percorso educativo dedicato».
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