Alla fine anche lei ha ceduto a Sanremo.
«Nel mio ambiente il Festival è da denigrare. Ma Sanremo è una vetrina, un'occasione di portare la propria musica agli occhi di tutti. Sono andato per la mia musica, ma come ospite».
Perché non in gara?
«Sanremo non è la mia gara. La gara la faccio in tour, in studio. Aver cantato all'Ariston Wily Wily in tunisino, per me è già un traguardo. Una vittoria. È tanta roba».
Si sente cresciuto?
«Sicuramente. Ho attraversato alti e bassi come nella carriera di ogni artista. Ho viaggiato, mi sono fatto contaminare da lingue e suoni. Non è facile reggere il successo. Quando ti arrivano soldi, rischi di perderti».
Cosa l'ha salvata?
«Tornare alle radici. Tornare con i piedi per terra. Tornare al mio DNA, appunto. Come il disco».
Vive sempre a Baggio?
«Ho provato ad andare via. Ma non riesco a stare lontano».
Di cosa va orgoglioso?
«Di avere detto a mia madre che poteva smettere di lavorare. È il sogno di un figlio. Ora lavora con me. E abbiamo cominciato a litigare per lavoro (ride, ndr)».
L'ultima traccia si intitola Fallito. Si è mai sentito un fallito?
«Tante volte. La vita è ciclica. Capita a tutti di non essere sempre primi in classifica. Lì capisci chi ti è amico e chi no».
Uno dei temi delle sue canzoni è la droga.
«Perché il mio genere racconta la realtà di tutti i giorni. Ma ne parlo in modo negativo. Non la elogio».
E sul tema immigrazione?
«Da Cara Italia, quello che dovevo dire l'ho detto. Non è cambiato molto».
Dopo le date firma copie del disco, tre concerti al Fabrique di Milano.
«L'8-9-10 maggio. Dal cinema al teatro alla moda: il concerto sarà un insieme di tutto questo mischiato alla musica. E i featuring, tipo Salmo, MrEazi e gli altri, li vorrei con me. Un concerto più intimo, come lo è l'album».
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