Il fotografo, io credo, ha un terzo occhio: non quello del suo obiettivo, ma quello della sua anima. Pochi sono i momenti, nella carriera di un fotogiornalista, in cui abbiamo la possibilità di riportare la realtà come la vediamo. Istanti, fuggenti come l’attimo, in cui la nostra anima sa prima di noi cosa dobbiamo fare. Durante la guerra dei Balcani ho visto freelance francesi salire su auto caricate con mine anticarro e sfrecciare velocemente in mezzo ai carri armati. A Bucarest il nostro albergo era preda dei cecchini della Securitate eppure, giovani e romantici, ci avventuravamo per le strade alla ricerca dello “scatto giusto”, così come a Sarajevo. Eppure la “foto giusta”, che riporta la realtà che l’occhio vede e che l’anima perdona,, accade anche per caso, un istante fissato per sempre, nella memoria dell’umanità intera. Leggi l'articolo completo su
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