Il giovane pubblicista, che lavora anche come agente immobiliare, era stato riconosciuto dalla vittima. La studentessa aveva detto che il bruto aveva lasciato delle tracce di liquido seminale sulla borsa. Ruju aveva subito chiesto l’esame del Dna, ma le analisi hanno dimostrato che sull’accessorio non c’era alcuna traccia di sperma.
Cosa è successo la sera del 15 novembre?
«Avevo appuntamento con un amico in piazza Garibaldi. Ma quello si era addormentato e tardava. Continuavo ad aspettare quando è scoppiato un temporale. Mi sono riparato prima sotto il colonnato di un fabbricato e poi nei pressi di una chiesa. Intanto continuavo a parlare al cellulare, a mandare messaggi ai miei amici e a scattare foto alle strade allagate».
Una serata andata a buca?
«Il peggio doveva ancora succedere. Intorno alle 11 ero nei pressi della chiesa vicina all’ospedale Ascalesi quando si è avvicinata una volante della polizia. Gli agenti sono scesi e mi hanno chiesto i documenti che io ho consegnato subito. Poi mi hanno chiesto di seguirli in Questura. Sono salito sulla loro auto. Poi, una volta arrivati, hanno cominciato a interrogarmi in maniera sempre più serrata. Mi chiedevano chi fossi, come avessi passato la serata. Io ripetevo sempre le stesse cose. Poi mi hanno accusato di aver molestato una ragazza. Io ho negato».
Ha avuto paura?
«Certo, temevo che cominciassero a picchiarmi anche se in realtà non mi hanno torto nemmeno un capello».
Quando ha capito che l’avrebbero arrestata?
«Dopo molto tempo. Io insistevo ”controllate il mio cellulare” continuavo a ripetere. Quando ho capito di che cosa si trattava, ho proposto subito l’analisi del Dna. Poi mi hanno chiesto se ero disponibile a sottopormi a un riconoscimento. Ho detto subito di sì. La studentessa mi ha riconosciuto come il suo aggressore tra altre due persone»
Un bel colpo
«Si. Allora ho cominciato veramente a preoccuparmi. Mi hanno chiesto se volevo mettermi in contatto con qualcuno, io ho chiesto di telefonare a mia madre che dopo un po’ è arrivata in Questura. Gli agenti insistevano: ”Dille quello che hai fatto, raccontale tutto”. Si aspettavano una confessione. Ma io potevo solo dirle di aver perso la serata aspettando un amico»
Come ha passato i venti giorni in galera?
«Sono stato al padiglione Roma, prima eravamo in sei in una cella, poi siamo diventati otto, tutti accusati di reati sessuali. Un inferno. Il carcere non può far altro che peggiorare le persone. Io poi continuavo a protestare la mia innocenza e all’inizio tutti mi guardavano con sospetto».
Leggi l'articolo completo su
Leggo.it