«Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato», scrive il giovane che aggiunge che «è un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive». «Ho vissuto (male) per trent'anni, qualcuno dirà che è troppo poco», aggiunge Michele sottolineando che «i limiti di sopportazione sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un'arte»:
«Ma - scrive Michele nella lettera trovata dalla madre un paio di giorni dopo il decesso e consegnata ai Carabinieri - le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l'altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata».
«Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione - conclude il giovane - Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino».
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