CAOS PD «Un passaggio chiave» per «uscire dalla palude» che va assolutamente affrontato e chiuso prima di eleggere il nuovo capo dello Stato. Un Matteo Renzi motivatissimo si è presentato ieri mattina all'assemblea dei senatori del Pd convocati per discutere della legge elettorale. Una riunione veloce si è chiusa dandosi appuntamento a domani alle 12, facendo slittare di conseguenza al pomeriggio le votazioni a palazzo Madama sulla legge elettorale.
OGGI L'INCONTRO CON BERLUSCONI
Un'orario che gli permeterà anche di incontrare Silvio Berlusconi oggi alle 9, perché ormai i temi della legge elettorale e dell'elezione del Presidente della Repubblica si intracciano di continuo.
Ieri intanto il segretario-premier e la minoranza del Pd hanno ingaggiato un braccio di ferro. Renzi alla riunione è stato netto: «Parliamone ancora se serve», per «evitare rotture», ma «dobbiamo e possiamo chiudere la discussione in 48 ore. Dobbiamo decidere e chiudere, se no c'è il Consultellum». Il premier, specificando «non sono sotto ricatto di nessuno», ha affrontato la minoranza interna che da tempo è in agitazione sulla legge elettorale: le critiche all'Italicum «sono ingiuste e ingenerose». Per il premier sulle soglie, le liste bloccate e l'alternanza le richieste della minoranza «sono state accolte».
Renzi ha sottolineato ancora: «Non si può usare un gruppo minoritario come un partito nel partito». Il duello è prima di tutti Manuel Gotor («il mio nemico preferito», l'ha chiamato il premier), primo firmatario dell'emendamento sui capilista che mira a ridurre il numero dei 'nominatì.
Secondo Gotor a sostenerlo sarebbero in 30 solo nel Pd e «non voteranno l'Italicum se esso dovesse essere respinto in aula». Il senatore bersaniano ha invocato «un confronto», altrimenti «si aprirebbe un'altra partita», e non ha mostrato di voler arretrare: «Renzi ha concesso qualcosa a tutti sulla legge elettorale, ha fatto il giro delle sette chiese ma ha ignorato un terzo dei senatori del Pd, quella che sarebbe la sua parrocchia...».
Fino a questa sera c'è tempo per una ricomposizione, anche se dal gruppo di palazzo Madama viene sottolineato che «non c'è una trattativa aperta, non ci sono grandi margini».
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