Liquidare in poche e affilate parole le richieste della minoranza dem di guardare ad un'alleanza di centrosinistra larga e plurale non si rivela però una buona strategia. Sul segretario piovono critiche. Il primo è lo stesso padre dell'Unione, Romano Prodi: «Il segretario del Partito democratico mi invita a spostare un po' più lontano la tenda. Lo farò senza difficoltà: la mia tenda è molto leggera». Ma ad avanzare dubbi sulla gestione del partito è anche Walter Veltroni che avverte: «La vocazione maggioritaria non significa autosufficienza». E poi Dario Franceschini, alleato di Renzi e solitamente cauto che si interroga su cosa «non ha funzionato» e commenta: «Il Pd è nato per unire il campo del centrosinistra non per dividerlo». Una critica neanche troppo velata al segretario che manda i renziani su tutte le furie.
Ma il clima nel partito è ormai esasperato e se Andrea Orlando e Gianni Cuperlo ribadiscono le critiche alla linea di Renzi, anche il governatore dell'Emilia Stefano Bonaccini dà qualche consiglio al segretario: «Quando ti senti autosufficiente rischi di sfiorare l'arroganza». La resa dei conti è attesa nella direzione del 10 luglio, ma Renzi intende tirare dritto. Forte del risultato delle primarie, non lascerà la leadership per tornare a quello che definisce «un passato in cui il centrosinistra era la casa delle correnti e dei leader tutti contro tutti».
Intanto il centrodestra, nonostante la vittoria elettorale, si divide sul futuro. Matteo Salvini sfida Berlusconi, si dice pronto a candidarsi a Palazzo Chigi e chiede al Cav parole chiare contro l'ipotesi di larghe intese con il Pd. Lo stesso fa Giorgia Meloni che punge: «Ho l'impressione che Berlusconi sia più interessato a dialogare con il fronte avverso piuttosto che con i suoi alleati storici». Leggi l'articolo completo su
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