Chi cammina in montagna sa cosa significhi un simile cambiamento. E, infatti, mentre da una parte del vetro chi gestisce e analizza i vari parametri è comodamente seduto su una sedia, chi entra mentre le condizioni sono estreme non può farlo a “cuor leggero”. Quando, assorbendo ossigeno (fino al 50%), il laboratorio riproduce i 3.000 metri di altitudine l'accesso è consentito per ragioni di sicurezza solo con un rilevatore al dito e con la maschera e la bombola (anche non è obbligatorio impiegarla). In quello che riproduce caldo e umidità del Costa Rica, malgrado il calore estremo è vietato accedere con i pantaloncini corti.
Quando ci entrano i giornalisti l'umidità è “solo” del 72% e la temperatura non raggiunge i 38°, ma è già un inferno. E prima di autorizzare l'ingresso alla sala dove una Ford è ricoperta di neve è indispensabile indossare giaccone invernale (sciarpa e guanti sono un “optional”): il freddo si sente, ma è secco. Meglio la sala “artica” rispetto a quella tropicale. Le condizioni meno fastidiosi sono quelle desertiche: un caldo secco, ma la continua apertura delle porte regala comunque un gran sollievo.
In pochi metri, uno di fronte all'altro, ci sono i laboratori (anche da diverse decine di metri quadrati) nei quali gli ingegneri “creano” il tempo. I parametri sui quali possono agire sono poco più di una mezza dozzina, ma quelli che contano sono i dati rilevati dai sensori a bordo dei prototipi che diventeranno auto. Gli ingegneri ed i meccanici dell'Environmental Test Centre lavorano su quelli che per gli entomologi sarebbero dei bruchi, che poi diventano crisalidi prima di spiccare il volo come farfalle, cioè i modelli di serie.
Leggi l'articolo completo su
Leggo.it