Lo adottarono subito e ancora lo usano (praticamente in esclusiva) navi, sommergibili, treni, ruspe, trattori, camion, pullman e tutti gli “impianti fissi” dove i propulsori vengono spremuti per lunghi periodi no-stop. Qualcuno provò a metterlo anche sulle auto, ma aveva un senso solo se la vettura era utilizzata come un veicolo da lavoro, facendo tanti chilometri a “carico costante”. Lo scenario cambiò negli anni Settanta, quando i costruttori tedeschi, seguiti da francesi e italiani, intuirono che, migliorati alcuni aspetti, poteva dare grandi soddisfazioni anche sulle auto. La Ricerca e Sviluppo del settore automotive, si sa, ha gli investimenti più corposi e gli ingegneri migliori e i progressi furono enormi, quasi incredibili.
Nel Vecchio Continente le vendite di queste auto superò la metà del totale e questa tecnologia diventò il simbolo del Made in Europe nella grande sfida contro americani e giapponesi. Poi arrivano i cinesi che si schierarono e il confronto diventò insostenibile: è bastato un errore, una buccia di banana, per comprometterne il futuro. Comunque, ancor oggi, il diesel resta di gran lunga la miglior scelta in paesi come l’Italia per abbassare le emissioni di CO2 e per risparmiare. Con i tempi che corrono, scusate se è poco. Leggi l'articolo completo su
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