Il generoso Price è invece scivolato al settimo posto. La tragedia di Goncalves riapre il tema della sicurezza della Dakar che negli anni ha segnato la morte di una trentina di piloti e di una quarantina fra giornalisti, tecnici, assistenti di gara e spettatori. Nel 2015 l’ultimo incidente mortale, vittima il polacco Michal Hernik, in Argentina. Una tristissima scia di sangue accompagna questa corsa tanto affascinante quanto pericolosa che si tiene fin dal 1979 e alla quale quest’anno al via da Gedda ha visto 72 piloti di auto, 140 moto, 45 camion e 20 quad. Per tutti loro un percorso, in gran parte desertico e sterrato, di 9mila km diluiti 12 tappe, più altri 5mila km in prove speciali.
In gara anche un protagonista della F1 Fernando Alonso nel team Toyota Gazoo Racing con l’Hilux, con a fianco il 5 volte campione della Dakar Marc Coma. Quest’anno le cose fin dall’inizio non sono andate benissimo, si è infatti verificato un pericoloso incidente nello shakedow, una sorta di prologo spettacolo alla corsa vera e propria. Il pilota ceco Martin Kolomy è uscito di strada ferendosi, ed è stato costretto a abbandonare la gara prima ancora dell’inizio. Dopo un lungo giro per il mondo, quest’anno la Dakar è approdata in Arabia. La corsa una volta si chiamava ‘Parigi-Dakar’ perché partiva dalla capitale francese attraversava diversi paesi africani e il Sahara, e poi si concludeva in Senegal. Dal 1995 la corsa non è più partita da Parigi, ma aveva l’arrivo rimasto sempre a Dakar.
Dal 2009 invece, per motivi di sicurezza, legati ai pericoli ambientali lungo buona parte del territorio africano, la gara si è trasferita nel continente latinoamericano, pur mantenendo lo storico nome di Dakar, un evento che unisce passione per i motori, senso dell’avventura e del rischio, oltre a ingenti interessi economici. Infine, dal 2020 si gareggia in Arabia Saudita. Leggi l'articolo completo su
Leggo.it