Assente invece Fiat Chrysler. Si tratta di una mossa senza precedenti del mondo dell’ auto che - sottolineano alcuni commentatori - rischia di scatenare le ire di Trump. Non a caso alcuni tra i suoi più stretti consiglieri temono che il presidente possa cedere all’idea già coltivata di imporre dazi all’importazione di auto e componenti di auto: una misura che metterebbe in grave difficoltà le case che producono in America e che ricevono molte delle componenti da Canada o Messico. Ma ancora più forte per i big dell’ auto è un’altra preoccupazione: quella che eliminando le regole e gli standard più rigidi varati dalla precedente amministrazione Usa, uno dei fiori all’occhiello dell’agenda verde di Barack Obama, si apra «un periodo prolungato di controversie e di instabilità» che alla fine andrebbe a colpire la redditvità delle case produttrici e l’occupazione nel settore.
Eppure all’inizio molte case automobilistiche avevano appoggiato una revisione degli standard, ma hanno ritirato il loro sostegno di fronte a un piano che va ben oltre quella «via di mezzo» immaginata tra le norme dell’era Obama e la stretta voluta dall’attuale presidente americano. Una stretta che prevede di congelare i limiti delle emissioni per le auto a 37 miglia per gallone (circa 69 chilometri per 4,5 litri), mentre il piano Obama prevede entro il 2025 un’ulteriore riduzione a 54,5 miglia per gallone (circa mille chilometro per 4,5 litri). L’appello delle case automobilistiche è dunque quello a rivedere i piani e riaprire un tavolo di confronto soprattutto con la California per trovare un compromesso. Non a caso una seconda lettera è stata inviata al governatore del Golden State Gavin Newsom, che però sembra irremovibile di fronte a qualunque richiesta di allentare le severe norme anti inquinamento che vigono nello stato, le più severe negli Usa. Leggi l'articolo completo su
Leggo.it