Meno di 15 litri, quindi, che consentono di percorrere oltre 600 km. In Italia (e anche in molti paesi d’Europa) il bioetanolo non è quasi utilizzato per i trasporti e, di conseguenza, non è facile paragonare i costi. In Brasile, invece, dove quasi tutte le vetture vanno anche ad alcol (alimenta i motori a scoppio), il costo chilometrico sarebbe un terzo di quello della benzina, più o meno quanto quello di una vettura a batterie (anche e-Bio Fuel Cell è spinta da un elettrico). Altri vantaggi? Questa miscela non si infiamma e, a differenza dell’idrogeno che deve essere a pressioni elevatissime (700 atmosfere), si può acquistare in tanica anche dal ferramenta.
In una classica vettura fuel cell l’idrogeno del serbatoio si infila nello stack e, componendosi con l’ossigeno nell’aria, genera elettricità e vapore acqueo. La e-Bio ha un passaggio in più, c’è un reformer che scinde la miscela acqua-etanolo in idrogeno e CO2. Per far funzionare il reformer serve calore (750 gradi) e gli ingegneri della Nissan, dopo oltre un ventennio di studi in cui hanno trovato anche i materiali a basso costo per le fuel cell a ossido solido, hanno capito come prelevarlo dallo stack delle fuel cell che sprigiona alte temperature. Tutto perfetto, ma come la mettiamo con la CO2? Non è considerato un problema?
Il “ciclo di carbonio” di e-Bio è neutro perché l’anidride carbonica emessa dall’auto è quella che la canna da zucchero aveva prelevato dall’atmosfera. L’industria dell’auto, inoltre, si basa sulla CO2 perché direttamente collegata al consumo che nei motori a combustione genera proporzionalmente sostanze inquinanti. La sola CO2, invece, non è affatto un veleno.
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