Negli Stati Uniti le somministrazioni di vaccino sono già state 277 milioni, nel Regno Unito 57,8 milioni, in Italia siamo sopra i 29 milioni. In tutta l’Africa - 1,2 miliardi di abitanti - le iniezioni anti Covid sono state 25,8 milioni, dunque meno di quelle del nostro Paese. In Asia si sta vaccinando molto, ma c’è il caso dell’India, investita dalla fase più drammatica della pandemia. Il colosso, che pure è tra i primi produttori al mondo di vaccini, ha eseguito fino ad oggi 186 milioni di vaccinazioni. Sembrano tante, ma se le rapportiamo a un paese di quasi 1,4 miliardi di abitanti, capiamo quanto sia un risultato ancora poco significativo.
SCENARIO
Perché sono importanti questi numeri? Ci aiutano a capire che in questa pandemia c’è una parte del mondo che ha la possibilità di proteggersi (anzi, può perfino permettersi di scegliere tra un prodotto o l’alto o di fissare l’appuntamento per la seconda dose in modo che non rovini le vacanze estive); e ce n’è un’altra, a partire dall’Africa, da una parte dell’Asia e dell’America Latina, che invece deve aspettare. E vede gli Stati Uniti stoccare nei frigoriferi molte più dosi del necessario. Eppure, come l’Organizzazione mondiale della sanità ha ricordato in molte occasioni, mai come in questo caso per i Paesi più ricchi l’altruismo sarebbe una forma di virtuoso egoismo, perché solo riducendo la diffusione del virus in tutto il mondo si può evitare che il coronavirus non torni a colpire in modo ancora più duro. Non è stato di per sé un errore proteggere prima i Paesi in cui si sono sviluppate ricerca e produzione dei vaccini. Il principio è un po’ quello secondo cui, in un’emergenza aerea, devi indossare la maschera dell’ossigeno prima di aiutare una persona più fragile a farlo.
A inizio pandemia si temeva che il coronavirus in Africa avrebbe causato una catastrofe umanitaria. Non è andata così, se si esclude ciò che è successo in Sud Africa (55 mila vittime per Covid) e in misura minore in Egitto (14.500), Tunisia (12 mila) e Marocco (9.100). Bisogna però tenere conto di ciò che è successo in India, un Paese che sembrava avere superato l’epidemia e, al contrario, improvvisamente si è trasformato nel grande malato del mondo. Non si può escludere che non possa succedere anche in parti del continente africano.
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RAGIONI
Ma cosa ha salvato - fino ad oggi – l’Africa? «Una combinazione di fattori», osserva il professor Cauda. «Probabilmente c’è una sottovalutazione del numero dei casi, perché i sistemi sanitari che possono garantire l’esecuzione dei tamponi generalmente non sono paragonabili a quelli europei. Inoltre, parliamo di popolazioni molto giovani che tendono, in caso di contagio, ad essere asintomatiche o paucisintomatiche. Ma un virus che circola senza dare segnali è ancora più pericoloso in termini di possibili mutazioni: mi auguro che tutto ciò possa portare a un effettivo impegno da parte di tutte le nazioni, che si potrebbe concretizzare in una pausa della proprietà industriale per avere molti più vaccini. C’è un precedente, quello del Sud Africa e dei farmacilper l’Aids». Nel 1997 Nelson Mandela promulgò il Medical Act che autorizzava la produzione locale di costosi farmaci antiretrovirali, in deroga alle norme sui brevetti internazionali. Trentanove case farmaceutiche avviarono un’azione legale che, su pressione di organizzazioni internazionali e opinione pubblica, poi ritirarono, anche se il Medical act non entrò mai in vigore.
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