Per i familiari, che hanno presentato subito un esposto in procura a Roma, nessuno tra i sanitari si sarebbe accorto che l’organo in realtà era compromesso. Sulla vicenda era intervenuta anche il ministro Lorenzin, che aveva definito «inaccetabile» morire così. I medici indagati sono Stefano Gerosa, responsabile dell’ambulatorio rischio cardiologico e della preparazione interventi chirurgici del San Raffaele e la collega Alessandra Laricchia. Accanto ai loro nomi compaiono anche quelli di Mariano Feccia e Marzia Cottini, entrambi nel reparto di cardiochirurgia e trapianti del San Camillo, e quello di Alessandra Iaiza, tecnica perfusionista in servizio nel nosocomio romano. In realtà, come avviene in questi casi, si tratta di un “atto dovuto” per consentire ulteriori accertamenti.
Il fascicolo, che per un anno è stato seguito dai pm di Roma, dallo scorso settembre è stato affidato al pm milanese Antonio Cristillo, che sta cercando di accertare se la morte del paziente possa essere dovuta un errore di valutazione da parte dell’équipe del San Raffaele. Tesi che il magistrato sta approfondendo, anche attraverso un “accertamento irripetibile” in corso all’istituto di medicina legale di Padova per valutare se, come sostengono i consulenti della procura di Roma, il cuore del donatore fosse compromesso. I camici bianchi hanno nominato otto consulenti che parteciperanno agli accertamenti insieme ai quattro esperti indicati dalla procura. La relazione finale verrà consegnata agli inquirenti entro l’8 gennaio. Leggi l'articolo completo su
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