La Regina Elisabetta II arrivò a Palermo da Napoli, sul panfilo reale, il Britannia. Nonostante la sua fosse una visita privata, era prima passata da Roma per un saluto al presidente Pertini e a Papa Wojtyla, Poi via, in vacanza verso la Sicilia. Ottobre 1980. Lo ricorda bene Laura Lanza, guida turistica di lungo corso, tra le più accreditate per i percorsi d’arte nell’Isola, che fu chiamata a mostrare alla regina e al principe Filippo le bellezze di Palermo e Monreale.
Come si preparò per quell’ospite d’eccezione?
«Qualche giorno prima fui chiamata a Palazzo dei Normanni per il programma della visita e per eventuali istruzioni. Mi dissero che non avrei dovuto vestire di rosso né di nero, che non avrei dovuto essere io a presentarmi alla regina ma sarebbero stati loro a dirle chi fossi, che non avrei dovuto stringerle la mano o comunque toccarla. Il protocollo avrebbe richiesto che le si sarebbe potuto rivolgere la parola solo se avesse parlato lei per prima ma io ero lì per descrivere tante bellezze e così ruppi il ghiaccio».
Prime impressioni?
«Era fredda ma non distaccata.
Il principe consorte invece?
«Filippo sembrava un turista come tanti altri, curioso, allegro, affabile, faceva anche qualche battuta. Camminava sempre un passo indietro ad Elisabetta ma era l’unico che potesse porgerle la mano o il braccio».
Un piccolo “incidente di percorso”?
«A Monreale, davanti al Duomo, c’era la bancarella del venditore di piccoli carretti siciliani ed altri souvenir locali. Tra le tante cose esposte aveva le “coffe”, le tipiche borse di paglia isolane. La regina le guardò, ne scelse una e la portò via immaginando sicuramente che qualcuno del seguito la pagasse. E invece nessuno, sul momento, uscì una lira. Fu pagata dopo ma, a dire del commerciante, troppo poco».
La cena a Palazzo Ganci?
«Non c’ero, era riservata solo a poche decine di cittadini inglesi residenti a Palermo. Mi dissero che Elisabetta apprezzò molto il menù che partiva dal celebre timballo di pasta descritto da Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”, continuava con la ruota di pesce spada e si concludeva con il gelo di “mellone” (anguria, ndr.)».
Una curiosità.
«Una copertina, un piccolo plaid che la regina metteva sulle gambe ogni volta che entrava in macchina. Mi fece tenerezza».
Due anni dopo lei fece da guida anche alla Regina Madre.
«Ah, sì. Un personaggio: simpaticissima, divertente, ironica. Eravamo sempre a Monreale, in visita all’Arcivescovado. Ci offrirono dei pasticcini di mandorla e, mentre ne assaggiava uno, sporcò di zucchero a velo il divano. Ce ne accorgemmo solo noi due. Mi guardò, mi sorrise e senza alcun imbarazzo, si spostò di qualche centimetro per coprire quel “danno”. Come una bambina».
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