Prima Scala: «Il Boris rincorso dagli spettri. È solo arte, non propaganda alla Russia»

Prima Scala: «Il Boris rincorso dagli spettri. È arte, non propaganda russa»

«E’ un capolavoro della storia dell’opera. Non c’è propaganda politica pro Putin e c'è grande differenza tra il libretto e la guerra in Russia». Lo ha ribadito Dominique Meyer, che sovrintende il Teatro alla Scala, nella conferenza stampa di ieri che anticipa la Prima scaligera chiudendo la polemica accesa dal console ucraino a Milano. Così l’Ur-Boris, e cioè la primigenia versione dell'opera di Musorgskij del 1869, inaugurerà la stagione scaligera, con la direzione di Riccardo Chailly e la regia di Kasper Holten, il prossimo 7 dicembre. D'altronde, «Il mondo ha bisogno di più arte e non di meno arte», risponde lo stesso Holten, classe ’73, per 5 anni direttore dell’Opera per la Royal Opera House, Covent Garden di Londra, e attuale vicepresidente del CDA dell'Accademia europea di teatro musicale. E non solo perché il Boris Godunov è un dramma popolare che mette alla berlina con il recitar cantando il delitto di cui Boris stesso, rincorso dai fantasmi del passato e del futuro, pagherà con la follia e con i perenni sensi di colpa, fino alla morte. Ma anche perché, come dice Chailly, «è interessante leggerlo oggi sottolineandone la modernità sinfoniche, il senso scabroso dell’armonia e i colori straordinari dell’orchestrazione». Il dramma avrà le scenografie di Es Devlin, i costumi di Ida Marie Ellekilde, i video di Luke Halls, le luci di Jonas Bǿgh. 

 

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BORIS 

 

A interpretare Boris sarà il basso russo Ildar Abdrazakov al suo sesto 7 dicembre, di cui gli ultimi tre sempre con Chailly (compreso il Macbeth verdiano). «Il mio Boris ha anima e cuore - dice Abdrazakov - ma vive con il rimorso costante di aver ucciso un bambino. Mi sento in questo momento il cantante più felice del mondo». Il Boris apre la stagione per la seconda volta, dopo che Abbado nel 1979 (la regia era di Jurij Ljubimov, mentre in sala, l’allora presidente Sandro Pertini sceglie di sedersi in platea, rifiutando addirittura il palco centrale) lo diresse nella versione che Musorgskij fu costretto a modificare nel 1872 con l’aggiunta dell’atto polacco. Riccardo Chailly, invece, per la sua nona direzione inaugurale, sceglie la versione del 1869 a cura dell'edizione critica di Evgenij Levašev (edizione italiana Sugarmusic). Quella pensata in 7 scene, un prologo e tre atti, anticipando che alla Scala ci saranno 23 battute mai ascoltate prima. Un’opera tra le più importanti della letteratura operistica. Non è un caso che il libretto risalga al dramma di Puškin (composto nel 1825 e pubblicato nel 1831) e  che Puškin, a sua volta, si ispirasse a Shakespeare (vissuto al tempo del Godunov storico) in cui a sua volta si nota l’analogia della stessa bramosia di potere descritta con il cupo realismo di Verdi in Macbeth. Questa versione del Boris dall’idea novecentesca, era troppo moderna per i tempi di Musorgskij, tanto per drammaturgia quanto per partitura. Tant’è che Čajkovskij osò definirlo la più volgare e la più bassa parodia della musica. E tant’è che il Boris fu bocciato dai teatri di San Pietroburgo dell’imperatore Alessandro II Romanov che, se da una parte prometteva emancipazione, dall’altra era bel lontano dalla comprensione del libretto. Bocciatura che rappresentò essa stessa la sintesi dei limiti delle riforme dello zar e che non fu dovuta, come ben sottolinea Chailly, «per l'assenza di voci femminili che qui, al contrario, ci sono». 

 

LA SCENA 

 

Il monaco Pimen (interpretato da Ain Anger) si farà cronista degli avvenimenti storici alla ricerca della realtà, «come se rappresentasse - dice Holten - i giornalisti che lottano per la libertà di parola. Una pergamena scorrerà in scena come fosse il fiume della Storia». Il popolo, con il coro diretto da Alberto Malazzi e le voci bianche da Bruno Casoni, avrà il ruolo di protagonista. «Musorgskij voleva apparisse in scena - anticipa Chailly - ma noi manterremo il coro dietro fino alle ultime due parole, cioè fino alla morte di Boris, per rispettare la centralità del personaggio fino all’ultimo respiro». É l’opera della censura, contro la violenza, contro il potere dominante e che evidenzia il sacrificio degli innocenti. Temi che Holten farà emergere scindendo esattamente in due parti il disegno di regia a differenza del blocco unico previsto da Musorgskij conferendone una funzione drammaturgicamente importante, oltre che delineando una netta separazione temporale. «Nella prima - dice - si guarderà Boris dall’esterno. Nella seconda, che si svolge sette anni dopo, osserveremo i fatti dentro la testa di Boris». Centrale nella narrazione, sarà la scena della taverna, in cui il personaggio di Varlaam (Stanislav Trofimov) trasporterà la tragedia e il dramma verso la commedia, attraverso l’ubriachezza e la melodia del canto popolare. 

 

UNDER30, PRIMA DIFFUSA E PREZZI

La messa in scena inaugurale - anticipata dai tempi del Don Carlo, nel 2008, dall’anteprima Under30 il prossimo 4 dicembre - sarà trasmessa in diretta su Rai1. L’Ur-Boris sarà in scena fino al 29 dicembre. I prezzi della Prima andranno da 2500 a 100 euro (escluso prevendita). Per l’opera di Musorgskij, si ripeterà il palinsesto della Prima Diffusa in tutta Milano che dal 1° al 7 dicembre attraverserà la città con 60 iniziative dedicate a Boris Godunov e 35 proiezioni dell’opera in contemporanea con il Teatro alla Scala. «È stato fatto un lavoro straordinario e adoro questa opera - chiosa sempre Meyer che si dice parimenti soddisfatto del rincaro del 10 per cento degli introiti del Teatro alla Scala dal post pandemia  - Vorrei che il Boris si vedesse per come è. Ovvero, come un grande capolavoro. Preparato in Scala con molto cuore e desiderio di fare bene». 

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