L'operatrice sanitaria di Prato che dava lezioni di inglese privatamente a casa a un ragazzino di 13 anni, del quale è poi rimasta incinta, «ha di fatto sequestrato la vittima, tra l'altro figlio di una sua amica. Lo ha legato a sé e ha sperato di rimanere incinta, vero è che era delusa di un primo esito negativo del test di gravidanza e lo ha poi ripetuto a una settimana di distanza». Lo ha detto l'avvocato Roberta Roviello, legale di parte civile della famiglia della parte offesa, in aula al tribunale di Firenze dove è in corso l'appello del processo che vede imputata l'allora 29enne che a novembre 2017 rimase incinta del minore cui dava ripetizioni.
Condannata in primo grado a 6 anni e mezzo per violenza sessuale su minore e violenza sessuale per induzione, la donna «ha fatto vivere a un ragazzino di 14 anni 20 mesi di angoscia. Non è stata una violenza singola.
Ovviamente di diverso avviso il legale dell'imputata. «Il pubblico ministero definisce la parte offesa come un fanciulletto imberbe, incapace di distinguere tra urina e sperma. A dire però il contrario sono gli sms tra i due, nei quali il ragazzo chiede alla mia assistita precise prestazioni, di indossare perizoma, autoreggenti e tacchi. Messaggi dai quali si può anche dimostrare che la relazione sessuale ha inizio dopo il compimento dei 14 anni e non prima». Lo ha detto nell'aula della Corte d'Appello di Firenze l'avvocato Mattia Alfano, che insieme al collega Massimo Nistri difende la donna di Prato condannata in primo grado a 6 anni e mezzo. «La sessualizzazione è ad oggi molto anticipata - ha continuato, rivolgendosi al giudice Anna Maria Sacco - è in corso una anticipazione di tutto, di cui dobbiamo prendere atto. La mia assistita ha fatto pressioni, ma non sessuali, cercava affettività: sbagliata, malata, eticamente condannabile, ma affettività. L'allievo rispondeva con messaggi dettagliati ed espliciti, suggerendole di guardare dei video per eseguire meglio una prestazione richiesta. Non si ha a che fare con un soggetto passivo che subisce pressioni sessuali, lei lo faceva per sentirsi dire di essere amata. Sbagliando, ma quello voleva, essere amata». «Non si è mai sottratta al confronto, non ha cancellato i messaggi e ha raccontato fatti potenzialmente distruttivi per lei, si è sottoposta volontariamente a un supporto psicologico e si sta facendo curare - incalza l'avvocato - In tutto questo la parte offesa ha continuato poi a cercare rapporti con altre coetanee, a dimostrazione che non ha avuto la sessualità devastata».
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