C'è anche il presidente del Consiglio comunale di Piacenza, l'esponente di Fratelli d'Italia Giuseppe Caruso, tra i destinatari delle misure contro presunti appartenenti alle famiglie di 'ndrangheta legate ai Grande Aracri. Caruso, secondo gli investigatori della Polizia, sarebbe parte integrante dell'organizzazione criminale che operava tra le province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e che aveva ai vertici soggetti considerati di primo piano come Salvatore Grande Aracri, Francesco Grande Aracri e Paolo Grande Aracri.
Sulla vicenda è intervenuta Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia: «Grazie alle Forze dell'ordine e alla magistratura per la maxi operazione contro la 'ndrangheta in Emilia, che ha portato alla luce un sistema criminale radicato e diffuso. Il coinvolgimento di Giuseppe Caruso, anche se non legato alla attività politica ma al suo ruolo di funzionario dell'Agenzia delle Dogane che fa capo al Ministero dell'Economia, ci lascia sconcertati. Confidiamo nel lavoro degli inquirenti, e auspichiamo che Caruso dimostri la sua totale estraneità in questa vergognosa vicenda. Ribadiamo con assoluta fermezza che in Fratelli d’Italia non c'è stato, non c'è e non ci sarà mai spazio per nessuna mafia e per noi, come noto, chi fa politica a destra e tradisce l'Italia merita una condanna doppia. Anche per questo Fratelli d'Italia è pronta a costituirsi parte civile nel processo per difendere la sua immagine e la sua onorabilità. Finché non sarà chiarita la sua posizione, Giuseppe Caruso è sollevato da ogni incarico e non può essere più membro di Fratelli d'Italia».
Le indagini nei confronti dei presunti appartenenti alle famiglie di 'ndrangheta sono state coordinate dal Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia e condotte dagli uomini della Squadra mobile di Bologna in collaborazione con quelle di Parma, Reggio Emilia e Piacenza. Gli arrestati sono accusati a vario titolo di associazione di stampo mafioso, estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, danneggiamento e truffa aggravata. Per eseguire le misure cautelari, in diverse città dell'Emilia Romagna, sono impegnati oltre 300 agenti.
Sugli arresti è intervenuto anche Matteo Salvini: «Maxi operazione contro la 'ndrangheta in Emilia, con un centinaio di perquisizioni in tutta Italia e arresti per associazione di stampo mafioso, estorsione, danneggiamento, truffa. Sul campo ci sono oltre 300 agenti. Grazie alle forze dell'ordine e in particolare al Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, alla Squadra mobile di Bologna e agli inquirenti: nessuna tregua e nessuna tolleranza per i boss. Avanti tutta contro i clan».
IL PROCURATORE CAPO AMATO: «OPERAZIONE CHE PROSEGUE PROCESSO AEMILIA»
«Questa è una operazione che idealmente e materialmente rappresenta la prosecuzione del processo Aemilia. Lo avevamo detto che non era il punto terminale dell'attività di contrasto all'infiltrazione della 'ndrangheta in Emilia, perché altri accertamenti erano in corso». Lo ha affermato il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato, spiegando in conferenza stampa i dettagli dell'operazione 'Grimildè, la maxi inchiesta che ha segnato un altro duro colpo alla 'ndrangheta in Emilia. In tutto sono 16 le misure cautelari chieste e ottenute dal pm della Dda Beatrice Ronchi, 13 in carcere e 3 ai domiciliari. A 12 persone è contestata l'associazione mafiosa, altri reati sono estorsione, violenza privata, intermediazione illecita di lavoratori. Gli indagati sono 64, un centinaio le perquisizioni. «Abbiamo contestato il reato associativo e direi che è qualificante in negativo che partecipassero a questa associazione anche persone che fanno parte di quella zona grigia di cui tante volte abbiamo parlato», ha detto ancora Amato.
«C'è per esempio la figura di un commercialista (Leonardo Villirillo, ndr.) - ha spiegato ancora Amato - che ha dato un contributo essenziale per quanto riguardava le operazioni di intestazione fittizia dei beni della società che di volta in volta servivano per recidere il collegamento tra gli appartenenti all'associazione e i beni stessi». Quanto al ruolo di Giuseppe Caruso, Amato ha spiegato che «non c'entra nulla» con l'inchiesta «il ruolo politico che ricopre ora: non c'è spendita di ruolo pubblico in quest'attività che riteniamo penalmente rilevante». Il «coinvolgimento personale» di Caruso risale a quando era dipendente dell'Agenzia delle Dogane di Piacenza. In quel ruolo, ha detto ancora Amato, «è risultato coinvolto a pieno titolo in questa associazione, in particolare svolgendo un ruolo importante in alcune attività che vedevano l'associazione interessata ad una azienda di riso che operava nel mantovano».
CARUSO: «IO SO DOVE BUSSARE»
«Perché io ho mille amicizie, da tutte le parti, bancari... oleifici... industriali, tutto quello che vuoi... quindi io so dove bussare... quindi se tu mi tieni esterno ti dà vantaggio, se tu mi immischi... dopo che mi hai immischiato e mi hai bruciato... è finita». Lo diceva a un altro indagato, secondo un'intercettazione dell'8 settembre 2015 agli atti dell'inchiesta 'Grimilde', Giuseppe Caruso, presidente del consiglio comunale di Piacenza, esponente di Fratelli d'Italia (Fdi), arrestato nell'operazione della Dda di Bologna.
Nel dialogo intercettato Caruso, che secondo il Gip ha un ruolo «non secondario nella consorteria», spiegava a Giuseppe Strangio che, in relazione alla funzione che all'epoca rivestiva all'ufficio delle Dogane di Piacenza, avrebbe dovuto cercare di mantenere un certo distacco da Salvatore (per gli inquirenti Salvatore Grande Aracri) perché questi, come il padre Francesco, era controllato dalle forze dell'ordine.
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