Messina Denaro: «Giuseppe Di Matteo? Non l'ho fatto uccidere io ma Brusca». Il bambino fu rapito e sciolto nell'acido

Il barbaro omicidio del piccolo Di Matteo è uno degli episodi più terrificanti della storia recente del nostro Paese

Messina Denaro: «Giuseppe Di Matteo? Non fui io a farlo uccidere, è stato Brusca». Il bambino fu rapito e sciolto nell'acido

Il barbaro omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, sequestrato per oltre due anni e ucciso ad appena 14 anni, strangolato e sciolto nell'acido, è uno degli episodi più terrificanti della storia recente del nostro Paese. Un omicidio disumano, un bambino rapito e assassinato perché aveva la sola colpa di essere figlio di un pentito, Santino Di Matteo, che stava testimoniando contro il clan dei corleonesi.

 

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«Non sono stato io, è stato Brusca»

Per quell'omicidio tra i boss a finire sotto accusa - oltre a Giovanni Brusca - c'era Matteo Messina Denaro, che però parlando al gip Alfredo Montalto si è tirato fuori da quella vicenda: Messina Denaro ha ammesso sì il sequestro, ma non l'orrore di aver deciso l'omicidio di Giuseppe, strangolato e sciolto nell'acido per vendetta nei confronti del padre collaboratore di giustizia. Il quadro non cambia ma, ridimensionando il suo ruolo, Matteo Messina Denaro voleva probabilmente mostrare il lato umano del più odioso dei crimini che gli vengono attribuiti. Se non lui allora chi ordinò quell'atroce delitto? Davanti al gip il boss ha scaricato tutto su Giovanni Brusca, da poco liberato dopo 25 anni di carcere. Fu lui, ha detto, a dare quell'ordine ripugnante.

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Il terribile omicidio di Giuseppe Di Matteo

La storia di Giuseppe Di Matteo è passata attraverso un incredibile calvario durato più di due anni. Venne rapito, in un maneggio di Villabate, il 23 novembre 1993. Aveva solo 12 anni. I rapitori gli chiesero di seguirli per portarlo dal padre Santino, che non vedeva da tempo. Si presentarono come agnelli, ma subito si rivelarono lupi. Con il sequestro la mafia voleva indurre il padre Santino Di Matteo a ritrattare le sue rivelazioni. Nell'attesa di un ripensamento, che non ci fu, Giuseppe venne trasferito da una prigione all'altra nelle province di Palermo, Trapani, Agrigento.

La prima masseria nella quale fu portato, incappucciato e chiuso nel bagagliaio di un'auto, si trovava a Campobello di Mazara, il paese dell'ultimo covo di Messina Denaro. Il ragazzino trascorse qui un periodo della sua orribile prigionia nella casa di campagna di Giuseppe Costa, fedelissimo del boss. Era l'inizio di un calvario durato oltre due anni. Si concluse in un casolare-bunker nelle campagne di San Giuseppe Jato l'11 gennaio 1996 quando Brusca ordinò di farla finita. Di Giuseppe Di Matteo non è rimasta neppure una traccia. Ma la sua memoria, che in questi anni non si è mai affievolita, verrà rinnovata con un atto simbolico: a Castelvetrano sarà intitolata a lui la scuola elementare che Messina Denaro frequentò da bambino.

L'interrogatorio del boss

L'interrogatorio del boss non ha sciolto per ora nessun altro nodo dell'inchiesta seguita all'arresto tra cui quello del ruolo della sorella Rosalia, la persona più vicina a Messina Denaro: era lei che teneva la cassa, aggiornava la contabilità, custodiva un migliaio di pizzini nei quali si ritrovano tutti o quasi tutti i personaggi del cerchio magico del boss, amanti comprese. La donna non ha finora aperto bocca e il tribunale del riesame ha respinto la sua istanza di scarcerazione. Resta in cella e pagherà pure le spese. Dal carcere dell'Aquila, intanto, arrivano notizie buone sulle condizioni di salute del padrino: ha concluso il ciclo di chemio e sta assumendo farmaci. Esami e controlli comunque continuano.

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