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L'esperto parla del suo studio e, in un rapporto preliminare per la rivista 'Nature' al riguardo, spiega: «È importante diffondere il messaggio che le cellule T e non solo gli anticorpi sono una parte essenziale dell'immunità antivirale. C'è invece l'idea di una totale assenza d'immunità contro i coronavirus nella popolazione generale. Il che è chiaramente scorretto. Diversi tipi di coronavirus hanno sempre circolato tra gli umani. È possibile che un'immunità a virus strettamente correlati possa ridurre la vulnerabilità o alterare la gravità della malattia».
Bertoletti sottolinea come «nel caso del Covid-19, avere una forte risposta T potrebbe essere la strada per contrastare il virus». E ancora: «Si parla solo degli anticorpi perché sono relativamente semplici da valutare. Le cellule T sono più complicate da misurare». Ma «la risposta cellulare T è un'importante componente della risposta immunitaria contro Sars-CoV2. Non solo: questa risposta è con ogni probabilità di lunga durata. Possiamo dirlo perché vediamo che soggetti che hanno avuto Sars 17 anni fa hanno una risposta immunitaria T ancora oggi». Queste cellule vengono chiamate «cellule T di memoria», spiega l'esperto ricordando che alcuni coronavirus sono anche all'origine nell'uomo di comuni raffreddori stagionali.
La memoria delle cellule T «rimane - dice Bertoletti - Il concetto che non c'è immunità di gregge è sbagliato. Non c'è se si valutano solo gli anticorpi o se s'interpreta il termine 'immunità' come protezione sicura, ma è invece probabile che, se si valutano le T cells, ci sia una popolazione di soggetti (nel nostro lavoro almeno il 50%) che ha memory T cells contro sequenze di Sars-Cov2. Certo, non possiamo dire che queste cellule proteggano ma non si può nemmeno dire che 'siamo tutti senza immunità'».
La premessa dello scienziato è comunque che «non sappiamo tanto di questo virus, iniziamo a conoscerne qualcosa ora».
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