Istat: con il Covid crescono le diseguaglianze. «Giovani e donne in ginocchio»

Istat: con il Covid crescono le diseguaglianze. «Giovani e donne in ginocchio»
Il Covid ha accentuato le disuguaglianze e i divari già esistenti nel nostro Paese, con una 'scala sociale' nella quale è più facile scendere che salire, il mercato del lavoro che si restringe e le fasce più deboli, giovani e donne, gravemente in difficoltà. A lanciare l'allarme è l'Istat nel suo Rapporto annuale, che ha preso in considerazione anche il periodo del lockdown con le sue conseguenze, come il 12% delle imprese che pensa di tagliare, la didattica a distanza che vede in svantaggio bambini e ragazzi del Sud e la natalità che scende.


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L'Istat sottolinea però anche come il Paese abbia reagito. «Il segno distintivo» nel lockdown è stato di «forte coesione». L'Istituto invita a guardare alla criticità strutturali del Paese come «leve della ripresa». L'epidemia si è abbattuta sulle persone più fragili «acuendo al contempo le significative disuguaglianze che affliggono il nostro Paese», scrive l'Istat. Una prova ne sono «i differenziali sociali riscontrabili nell'eccesso di mortalità causato dal Covid-19», con i meno istruiti maggiormente colpiti. Sul mercato del lavoro hanno risentito dell'emergenza donne e giovani, più presenti nel settore dei servizi, impattato dalle conseguenze del Covid. La chiusura della scuole, poi, può aver prodotto un aumento delle diseguaglianze tra i bambini in termini di 'digital divide' e di sovraffollamento abitativo.

«L'arrivo del Covid ha portato al sovrapporsi delle disuguaglianze sulle precedenti disuguaglianze del mercato del lavoro», dice il direttore centrale per gli studi e la valorizzazione dell'area sociale dell'Istat, Linda Laura Sabbadini. In particolare, spiega «siccome il settore colpito di più in questo momento e meno tutelato dal punti di vista degli ammortizzatori sociali e della cig è quello dei servizi, a differenza di quel che è accaduto nelle precedenti crisi in cui erano industria e costruzione, ha fatto sì che peggiorasse la situazione delle donne e dei giovani. Giovani che ormai tra i 25 e i 34 anni ormai stanno 10 punti di tasso di occupazione sotto i livelli del 2008: 8 punti che si portavano dal periodo pre-Covid e due punti che si sono aggiunti solo con marzo e aprile. Ora anche qualcosa di più con il mese di maggio. Particolarmente critica è poi la situazione degli irregolari, considerando che nel settore dei servizi, rientrano la ristorazione e il turismo dove sappiamo che l'irregolarità è più frequente».

Quanto ai più piccoli, per l'Istat «la chiusura delle scuole imposta dall'emergenza epidemica può produrre un aumento delle diseguaglianze tra i bambini: nel biennio 2018-2019 il 12,3% dei minori di 6-17 anni (pari a 850mila) non ha un pc né un tablet ma la quota sale al 19% nel Mezzogiorno (7,5% nel Nord e 10,9% nel Centro). Lo svantaggio aumenta se combinato con lo status socio-economico: non possiede pc o tablet oltre un terzo dei ragazzi che vivono nel Mezzogiorno in famiglie con basso livello di istruzione». Inoltre, «svantaggi aggiuntivi per i bambini possono derivare dalle condizioni abitative. Il sovraffollamento abitativo in Italia è più alto che nel resto d'Europa (27,8% contro 15,5%), soprattutto per i ragazzi di 12-17 anni (47,5% contro 25,1%)».

PIU' PROBABILE SCENDERE CHE SALIRE La «classe» di origine influisce meno sulla collocazione sociale che si raggiunge all'età di 30 anni rispetto al passato ma pesa ancora in misura rilevante. Per l'ultima generazione (1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose invece che salire è scesa. A parlare di una mobilità verso il basso è l'Istat nel Rapporto annuale 2020. Il 26,6% dei figli rischia un 'downgrading' rispetto ai genitori. Una percentuale, praticamente più di 1 su 4, superiore rispetto alle generazioni precedenti. E anche più alta di quella in salita (24,9%). Cosa che non era mai accaduta prima. 


10MILA NATI IN MENO «La rapida caduta della natalità potrebbe subire un'ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid». Così l'Istat nel Rapporto annuale. «Recenti simulazioni, che tengono conto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto, mettono in luce un suo primo effetto nell'immediato futuro; un calo che dovrebbe mantenersi nell'ordine di poco meno di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021». E La prospettiva peggiora se si tiene conto dello shock sull'occupazione. I nati scenderebbero a circa 426mila nel bilancio finale del corrente anno, per poi ridursi a 396mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021«.

COLPITI STRATI SOCIALI DEBOLI «L'epidemia ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili», come «testimoniano i differenziali sociali riscontrabili nell'eccesso di mortalità causato dal Covid-19». Così l'Istat nel Rapporto annuale. «L'incremento di mortalità ha penalizzato di più la popolazione meno istruita». L'Istituto considera, infatti, il livello di formazione un buon indicatore di collocazione nello strato sociale.

ITALIANI VOGLIONO DUE FIGLI Una «bassa» fecondità, «in costante calo dal 2010», ma un «diffuso» ed «ancora elevato» desiderio di maternità e paternità. Una «forte discrepanza» quella registrata dall'Istat nel Rapporto annuale 2020. Il modello ideale di famiglia contempla infatti due figli. È così per il 46% delle persone, il 21,9% ne indica tre o più. Sono «solo» 500 mila quanti tra i 18 e i 49 anni affermano che fare figli non rientra nel proprio progetto di vita. «Solo il 5,5% ne desidera uno mentre un quarto è indeciso sul numero» di figli, spiega l'Istat, Certo buoni parte del calo della natalità è «dovuta indotti dalla significativa modificazione della popolazione femminile in età feconda», che si è ridotta rispetto al passato. Si tratta dell'effetto «struttura» che «incide per il 67% sulla differenza di nascite osservata nel periodo. La restante quota dipende invece dalla diminuzione della fecondità da 1,45 figli per donna a 1,29».

L'Istat mette in evidenza come «escludendo quanti non sanno indicare un numero desiderato di figli, la famiglia con due figli è il modello indicato dal 62,6% delle persone che hanno le idee chiare su quanti figli vorrebbero. Si tratta di un dato ormai strutturale, assolutamente in linea con quello rilevato nel 2003, a sottolineare la persistenza del un modello ideale della famiglia con due figli che appare consolidato anche a fronte del costante calo della fecondità reale», che «ci riporta agli stessi livelli di 15 anni fa».

Per l'Istat «va inoltre osservato come il modello di fecondità ideale sia omogeneo a livello territoriale». Ecco che «per circa la metà delle persone che non hanno figli e non intendono averne le motivazioni addotte evidenziano più che una scelta una sorta di rassegnazione a fronte di oggettive difficoltà». Il desiderio di avere figli «è elevato anche dopo i 40 anni. Sono 830mila gli over40 che non hanno figli ma intendono averne (pari al 12,1% tra i 40 e i 44 anni e al 4,2% nella classe di età successiva)». Nel 2017, si sottolinea, «78.366 coppie si sono sottoposte alla procreazione medicalmente assistita che ha dato luogo a 18.871 gravidanze. Tra il 2010 e il 2017 il numero di coppie che hanno fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita è aumentato del 12%, il numero di gravidanze ottenute del 24% e il numero di nati vivi del 12%».

ORARI LAVORO ANTISOCIALI «Tra le donne è alta, anche se non maggioritaria, la diffusione dei cosiddetti orari antisociali: serali, notturni, nel fine settimana, turni. Con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità del lavoro e la conciliazione con la vita privata». Così l'Istat nel Rapporto annuale. «Più di due milioni e mezzo di occupati, di cui 767mila donne, dichiarano infatti di lavorare di notte; quasi cinque milioni, di cui 2 milioni donne, prestano servizio la domenica; e oltre 3,8 milioni, 1 milione e 600mila donne, sono soggetti a turni».

SANITA', POSTI LETTO MENO DI META' DELLA GERMANIA L'offerta di posti letto ospedalieri in Italia «si è ridotta notevolmente nel tempo: nel 1995 erano 356mila, pari a 6,3 per 1.000 abitanti, nel 2018 sono 211mila, con 3,5 posti letto ogni 1.000 abitanti». Lo rileva l'Istat nel Rapporto annuale. «Nell'Ue28 mediamente l'offerta di posti letto è di 5,0 ogni 1.000 abitanti, in Germania sale a 8», fa presente l'Istituto. Quindi in Italia abbiamo meno della metà dei posti letto rispetto ai tedeschi. Stesso discorso vale se si fa il confronto sul personale infermieristico: 58 per 10mila residenti contro 129.

OSPEDALI HANNO RETTO «I primi dati disponibili segnalano che l'impatto dell'emergenza sull'assistenza ospedaliera c'è stato, ma limitato». Così l'Istat nel Rapporto annuale. «Sono diminuiti i ricoveri per le malattie ischemiche del cuore e per le malattie cerebrovascolari ma è rimasta invariata la capacità di trattamento tempestivo e appropriato di queste patologie una volta ospedalizzate», si spiega. In particolare «l'offerta di interventi non differibili in ambito oncologico e ortopedico sembra non abbia subito contraccolpi».

SPERA SANITARIA AL PALO «L'emergenza sanitaria interviene a valle di un lungo periodo in cui il servizio sanitario nazionale è stato interessato da un ridimensionamento delle risorse». Così l'Istat nel Rapporto annuale. «Dal 2010 al 2018 la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo dello 0,2% medio annuo a fronte di una crescita economica dell'1,2%», si spiega. La spesa per investimenti delle aziende sanitarie è scasa dai 2,4 miliardi del 2013 a poco più di 1,4 miliardi nel 2018. Rispetto al 2012 «il solo personale a tempo indeterminato del comparto sanità si è ridotto di 25.808 unità (-3,8%): i medici sono passati da 109mila a 106mila (-2,3%) e il personale infermieristico da 272mila a 268mila (-1,6%)».

12% IMPRESE VUOLE RIDURRE OCCUPAZIONE «Il problema del reperimento della liquidità è molto diffuso, i contraccolpi sugli investimenti, segnalati da una impresa su otto, rischiano di costituire un ulteriore freno ed è anche preoccupante che il 12% delle imprese sia propensa a ridurre l'input di lavoro». Così l'Istat nel rapporto annuale, in base a un'indagine condotta a maggio. Tuttavia «si intravedono fattori di reazione positiva e di trasformazione strutturale in una componente non marginale del sistema produttivo». Dai dati provvisori sulle forze di lavoro emerge inoltre che i lavoratori in Cig ad aprile - nella settimana di intervista - sono stati quasi 3,5 milioni. E, sempre ad aprile, quasi un terzo degli occupati (7,9 milioni) non ha lavorato. Cresciuti anche i lavoratori in ferie.

PIL IN AUMENTO NELLA SECONDA META' DEL 2020 Il Pil «dopo una flessione ulteriore nel secondo trimestre» si prevede che possa registrare «un aumento nel secondo semestre dell'anno». Così l'Istat nel Rapporto annuale. L'Istituto di statistica ricorda che la prospettiva per la media del 2020 è di una caduta del Prodotto interno lordo dell'8,3%. «Il percorso di ripresa è previsto rafforzarsi nella parte finale dell'anno, producendo un effetto di trascinamento positivo sui risultati del 2021 che, in media d'anno, segnerebbero un ritorno a una crescita significativa del Pil (+4,6%)».

UN MILIONE DI FAMIGLIE CON LAVORO IRREGOLARE «Nella difficile situazione economica generata dalle misure di contrasto alla pandemia, la presenza di una consistente porzione di occupazione non regolare rappresenta un ulteriore fattore di fragilità per un numero elevato di famiglie». Così l'Istat nel Rapporto annuale. «Nella media del triennio 2015-2017 circa 2,1 milioni di famiglie (per oltre 6 milioni di individui) hanno almeno un occupato irregolare; la metà, poco più di un milione, ha - sottolinea - esclusivamente occupati non regolari».

DAD A OSTACOLI PER META' STUDENTI «L'Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell'Unione europea, anche con riferimento alle classi di età più giovani». Così l'Istat nel Rapporto annuale. Quanto all'impatto del Covid, si sottolinea che «il 45,4% degli studenti di 6-17 anni (pari a 3 milioni 100mila) ha difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici in famiglia, che risultano assenti o da condividere con altri fratelli o comunque in numero inferiore al necessario».


IN 8,3 MILIONI POTREBBERO LAVORARE DA CASA Durante il lockdown la quota di chi ha lavorato da casa, almeno per alcuni giorni nell'arco del mese, è aumentata, coinvolgendo più di 4 milioni di occupati. Lo rileva l'Istat. «La stima dell'ampiezza potenziale del lavoro da remoto, basata sulle caratteristiche delle professioni, porta a contare 8,2 milioni di occupati (il 35,7%)», fa sapere l'Istituto. «Si scende a 7 milioni escludendo gli impieghi per cui in condizioni di normalità è comunque preferibile la presenza (ad esempio gli insegnanti)». Nel 2019, rileva l'Istat, «meno di un milione di questi occupati ha effettivamente lavorato da casa». In quell'anno l'orario di lavoro è risultato «rigido» per quasi 17 milioni di lavoratori. 
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