Lo definirono “l’occhio del secolo”, perché pochi come lui seppero raccontare in immagini, in scatti rigorosamente in bianco e nero, l’irripetibile, doloroso ma anche entusiasmante Novecento. Detestava essere chiamato “maestro”, tantomeno “una star della fotografia”. Ma la Storia, con la esse maiuscola, lo chiamava a sé, e lui – Henri Cartier-Bresson – non avrebbe mai potuto dire di no.
Arriva finalmente al Mudec la mostra “Henri Cartier-Bresson Cina 1948-9 I 1958”, un viaggio nella Cina alle porte della sua clamorosa rivoluzione da paese immobile e millenario in Repubblica Popolare retta dall’onnipotente Mao. Fu la rivista americana Life a commissionare al photo-reporter francese un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino” prima dell’arrivo delle truppe di Mao. In realtà, la mostra racconta due reportage cinesi di Cartier-Bresson, «uno nella stagione della presa del potere da parte del Grande Timoniere e una, nel 1958, a regime consolidato e all’epoca del Grande balzo in avanti, quando il controllo della censura era molto più forte”, spiega al Mudec François Hébel, direttore della Fondazione Henri Cartier-Bresson.
Curata da Michel Frizot e Ying-Lung Su, la mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione tra la fondazione e Palazzo Marino. «La ragione sociale del Mudec – ha spiegato l’Assessore alla Cultura del Comune Tommaso Sacchi – si rispecchia perfettamente in questa mostra: un museo che deve raccontare ponti culturali, come questo tra Occidente e Oriente».
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