Giuseppe De Donno, morto suicida il medico del plasma iperimmune: colleghi e collaboratori sono sotto choc. «Dolore» e «incredulità» sono i sentimenti espressi dai colleghi dell'Asst di Mantova per la morte di De Donno, che in quell'ospedale fino a poche settimane fa aveva ricoperto l'incarico di direttore della Struttura complessa di Pneumologia. Il medico è stato trovato morto ieri nella sua abitazione a Curtatone, dove si sarebbe tolto la vita.
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La direzione dell'Asst e tutti i professionisti dell'azienda si stringono attorno alla famiglia. La scomparsa del medico, sottolineano, «ha lasciato un vuoto incolmabile». De Donno era direttore della Sc di Pneumologia dal novembre 2018. Poi qualche settimana fa aveva reso nota la sua decisione di diventare medico di base. Un percorso di cambiamento, spiega l'Asst in una nota, «maturato dopo il periodo più intenso e drammatico della pandemia, che ha visto De Donno dedicarsi con passione e abnegazione alla cura dei pazienti colpiti dal Covid. I colleghi hanno avuto modo di apprezzare il suo impegno, il suo desiderio di giustizia, il suo approccio profondamente umano e gli sono stati vicini, supportandolo anche nella scelta di lasciare la medicina ospedaliera».
Lo specialista era approdato all'ospedale di Mantova nel 1998.
«Ha sempre dato molta importanza al rapporto diretto con il paziente e i caregiver», come testimonia per esempio «la sua attività come responsabile del servizio di assistenza respiratoria domiciliare per più di 10 anni», evidenziano i colleghi. Questa attenzione, riflettono, «lo ha portato nei mesi scorsi a prendere la decisione di abbandonare l'ospedale, a cui teneva e a cui aveva dato gran parte della sua vita professionale, per tornare a fare 'il medicò in ambulatorio, senza preoccupazioni che non fossero il benessere e la salute dei suoi assistiti. Noi che lo conoscevamo da molti anni, non solo professionalmente, ma anche come amici al di fuori del lavoro, siamo distrutti dalla sua perdita e siamo vicini ai suoi cari, in particolare a Edoardo, Martina e Laura che sentiranno l'enorme vuoto lasciato più di quanto possa essere solo immaginato da noi».
I colleghi-amici lo vogliono ricordare per «il sorriso, le battute, il suo entusiasmo nello studio dei casi e nel trovare le risposte a tanti dubbi, anche la sua profonda delusione quando qualche paziente nonostante tutto non ce la faceva, esperienza vissuta spesso come un insuccesso personale. Giuseppe era così, a momenti solare e in altri ombroso, perché disilluso da qualcosa o indispettito o arrabbiato per non essere riuscito a fare quello che sperava per i pazienti. Per fortuna erano più i successi che gli insuccessi e questo era in gran parte merito della sua caparbietà, che ha dimostrato bene nel periodo così drammatico della pandemia, ma che in parte lo ha profondamento logorato e stancato, come è accaduto a molti di noi e forse a lui più che a tutti. Speriamo che ora possa trovare quella pace e quella serenità che gli è mancata qui».
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