Virus, i ragazzi sfidano l’occhio del grande fratello Covid

Virus, i ragazzi sfidano l’occhio del grande fratello Covid

Non lontano da casa mia c’è una ripida scalinata che pochi conoscono ; collega la parte bassa del quartiere con quella più alta e, a metà del percorso, propone una curva che fa sparire , alla vista degli altri, coloro che la percorrono. Così, in quell'ansa, si materializza un  non luogo che ti protegge da sguardi e (ora lo so) pensieri indiscreti. “ Siamo sicuri che non ci vede nessuno? Dai, via la mascherina, guardiamoci in faccia, fumiamocela ‘na sigaretta” !

Mi trovo in quel punto cieco delle scale e, pur non volendo, colgo frammenti di dialoghi tra ragazzi che stazionano lì. Intuisco che il non luogo inviolabile agli sguardi  è utilizzato come rifugio clandestino, l’isola dei pirati. E’ risaputo, i giovanissimi necessitano di discrezione, più ancora degli adulti. E dopo mesi passati in casa, prigionieri di un’inattesa promiscuità famigliare – senza poter eludere che i genitori origlino le cose loro - cosa c’è di meglio che uscire di soppiatto per trovarsi in una remota bolla nel mezzo di una scalinata poco utilizzata? “Guarda sei bellissima anche con la mascherina, te lo dico, ma toglitela che mi costringi a fare pensieri impuri ché se non ti guardo in faccia dove ti devo guardà?”. Scendendo, scalfisce il mio udito anche questo complimento, che sancisce la ferrea volontà di una ragazzina di non abbassarla quella protezione che occulta la parte espressiva del volto delegando ai soli occhi l’onere di esprimere sensazioni.

Allora, un po’ per riservatezza, un po’ per osservare meglio la situazione – che a volte da lontano si afferra più che da vicino  - scendo ancora dei gradini finché un’ulteriore sterzata delle scale mi inghiotte lasciandomi solo, ad ascoltarli. Scopro così che è il Covid il convitato di pietra di quei pomeriggi di semilibertà che i ragazzi, con qualche destrezza, si regalano. Lo intuisco dalle parole, dalla paura di essere percepiti come branco e anche dagli sguardi che lanciano ai rari passanti come a dire: “ Sì, stiamo qui tra noi, che male c’è?” .

La scalinata diventa una sineddoche della vita adolescenziale di questo periodo perché una fotografia simile si imprime ai miei occhi anche nei parchi, dove piccole chiazze colorate - radunate in circolo sotto l’albero più lontano - segnalano la giovanile voglia di raggruppamento e al contempo di distanziamento, in questo caso dagli adulti più che dagli “altri”. Allo stesso modo, senza malizia eh, li scorgo due fidanzatini che affrontano per strada il calore dell’età, avariato dal Covid, e si avvinghiano, si baciano, e sfidano il virus e la paura che strizza l’occhiolino mentre si perdono nei loro pensieri . Non è andare contro legge ma piuttosto puntare una contraerea generazionale verso la pandemia:   “Ahò, raga, Maria ha detto a Nicola che se non si fa il tampone non lo bacia. Ma vi rendete conto”?  

All’arrivo di questa frase inizio a pensare che sia giunto il momento di lasciare il mio nascondiglio a cielo aperto; l’incredulità del ragazzino, la cui voce accosto a dei capelli rossi, diventa anche la mia. Per la prima volta i discorsi dei giovani e degli adulti coincidono perché il virus satura ogni conversazione. Lo so,  l’adolescenza è di suo foriera di scambio con i propri simili e uno slargo, su una scalinata in disuso , diventa cameretta dove accogliere gli amici e scambiare chiacchiere senza essere tacciati di incuria e, perché no, prendersi anche in giro, sorridere.

Mi muovo; la mia posizione sta diventando precaria, le spie sanno quando mollare gli ormeggi.  Avviandomi riaffiorano in mente alcuni romanzi -più che per ragazzi – direi ad essi dedicati: “La guerra dei bottoni” , “I ragazzi della via Pal”, “Il signore delle mosche”. Queste le storie che si impastano nel mio pensiero stimolato da quell’incontro sino ad evocare una sola immagine: l’autosufficienza che si raggiunge all’età dei ragazzi di quella scala e che oggi il virus mette in discussione. La pandemia dispensa rudezze a tutto il corso della vita. Gli anziani rischiano di più; i giovanissimi sperdono quel prezioso e brevissimo tempo che, piuttosto, dovrebbe colmarsi di intensità. In mezzo, invece, si teme per sé, per chi più grande e chi più piccolo. Di quei testi, classificati “per ragazzi”, a suo tempo mi rimasero impresse alcune frasi dei protagonisti. Avevano sempre, sullo sfondo, l’eterno duello tra i giovani e gli altri, il resto del mondo che ha passato l’età.  Nella “Guerra dei bottoni” uno dei protagonisti, l’intellettuale e vispo La Crique,  quello che spara idee a raffica, in chiusura del libro dice: "E dire che quando saremo grandi, diventeremo anche noi bestie come loro”. Mentre il premio Nobel William Golding, ne “Il signore delle mosche” , ad uno dei giovanissimi superstiti sull’isola deserta, presidiata solo da ragazzi, fa dire: “Gli umani producono il male come le api producono il miele”. Vuoi vedere che gli adolescenti sanno bene chi incolpare per questa impensabile situazione che sta gelando il mondo e la loro giovinezza ?

 

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Marco Mottolese nasce a Reggio Calabria. Ha vissuto a Londra, Perugia e Milano e attualmente a Roma. In queste città si è diviso tra creatività e management utilizzando la scrittura come collante del suo lavoro. Ha pubblicato libri di poesia, racconti , un saggio a quattro mani sui graffiti urbani e periodicamente “presta la sua penna” per attività di ghost writing.

 

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