Metamorfosi a Milano, l'ingegno post Covid della capitale del Nord

Metamorfosi a Milano, l'ingegno post Covid della capitale del Nord

Ci sono un paio di detti (forse zen o forse no) che mi hanno sempre incuriosito. Mi sono tornati in mente durante un recente soggiorno a Milano, dopo mesi che non la frequentavo. Il primo è questo: quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla. Perché mi è venuto in mente girando per Milano? Perché in questa città la fine del mondo coincide sempre con una rinascita; Milano ritorna farfalla ogni volta che, al termine di un’epoca, il bruco che stava per avvolgerla si fa crisalide per darle una nuova chance di volare. Non solo! Ma ad ogni rinascita la “farfalla” Milano ci mette del suo, aggiunge colori, sembra svelarsi un po’ più di prima. Milano, si sa, è una città che non si concede facilmente. Come prova d’amore alza sempre l’asticella per coloro che la vogliono, che la desiderano; essere impervia è il suo modo di farsi benvolere, esclusiva ed inclusiva allo stesso tempo. Chi ci vive sa che in realtà è accogliente, ma la città pretende che questa prerogativa non sia mai a buon mercato; in qualche modo Milano te la devi conquistare perché non è suo costume dare confidenza. Poi, una volta accettati, difficile sarà privarsene. Milano crea dipendenza. “Miracolo a Milano”, film capolavoro di Vittorio di De Sica, non a caso univa, sotto questo titolo, ragione e magia per descriverne la sua peculiare sintassi dinamica. Questi i pensieri che mi roteavano in testa nella settimana milanese che mi sono concesso grazie alla tregua concessa dal virus. Può suonare incredibile ma, arrivare a Milano negli ultimi mesi (da Roma o da ovunque), sembrava missione per grandi viaggiatori modello Chatwin. Per questa ragione girovagare per la città, sedersi ai tavoli degli innumerevoli bar, ristoranti o luoghi ibridi di cui è difficile classificarne l’esatta identità - se non quella generica e determinante di unire le persone - è come sottoporsi alle lampade (oggi quasi in disuso) quei raggi UVA per la tintarella che questa città per prima ha lanciato e per prima dismesso. Non ci si abbronza più artificialmente, non fa più status per fortuna, ma basta andare in giro, anche senza meta, per tingersi di un altro colore, stavolta invisibile, che Milano elargisce a piene mani: una tinta che sa di adrenalina buona, distillato collettivo del pensiero positivo di coloro che qui risiedono. Milano, non sembra, ma ti osserva, ti vuole, cerca di contagiarti (prima o poi potremo usare nuovamente la parola “contagio” senza paura vero?), ti fa sentire parte della squadra anche se arrivato da poco, ti incita e porta a domandarti: cosa avrà covato questa volta la città per un’ennesima metamorfosi che aggiunge al make-up di base una nuova tonalità? Credo di averlo capito: Milano, per andare oltre il virus, si è estroflessa; la proverbiale convessità della città (tutto dentro…giardini, case, luoghi sconosciuti e misteriosi, Milano che non si concede e che si vive all’interno, come se ovunque si tenessero riunioni sediziose, discussioni su segreti inviolabili) in realtà - e dobbiamo dire forse per assurdo - in virtù dell’impatto del Covid decide strategicamente di uscire finalmente fuori a cena, abbigliata come solo lei sa fare, per farsi notare e per sentirsi dire: “ sei sempre la più affascinante”. Per questo la vita sociale - che sempre si svolgeva al riparo di sguardi indiscreti - è scesa in piazza scegliendo come set principale i locali di ritrovo che in tempo reale hanno allestito i loro dehors sbattendosene di un’altra proverbialità, anch’essa da smentire: “ a Milano è sempre brutto tempo” . Per venire incontro alle necessità di cambiamento persino il clima si è inchinato alla metamorfosi milanese come se avesse scelto di allearsi al nuovo corso. Così la città del Duomo mi appare diversa seppur uguale; una spinta irresistibile (avete presente i purosangue quando intuiscono che stanno per uscire dal recinto?) offre il via all’ennesimo big bang che tutti coinvolge; si scende in strada (ma senza richiudere il portone dietro le spalle) come se tutti fossero testimonial della rinascita, si va in giro, perché è arrivato il momento di farsi notare. Dimenticavo… il secondo detto : “Un battito d’ali di una farfalla in California provoca un uragano in Cina“. Mettiamo Milano al posto di California e l’uragano, non solo in Cina, è garantito.

 

(L’autore di questo articolo ha vissuto in varie città, in Italia e all’estero. Ma è a Milano che si sente a casa).

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