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«Siamo stanchi, stressati, devastati dal lavoro incessante di ogni turno, è come se l'orologio girasse due volte e rimani bardato con tuta, guanti, maschere, occhiali, tutte le protezioni necessarie tanto che ti lasciano il segno, - racconta all'Adnkronos Roberta, che ha risposto all'appello della Croce Rossa lasciando marito, madre e sorella a Busto Arsizio - non riesci neanche a bere o ad andare in bagno finché non finisci il lavoro e quel 'Grazie' per l'assistenza data è tutto, è il piccolo gesto che ti fa andare avanti». «I pazienti hanno bisogno di assistenza continua e anche se adesso sono pochi i malati in fase acuta, sono per lo più cronici, sono estubati, ma che respirano con altri device e quindi necessitano comunque di assistenza continua. Sono disorientati, si sentono persi e dobbiamo rassicurarli: riescono ad interagire ma molto poco, hanno bisogno di tutto il nostro aiuto».
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«Dipendono totalmente da noi infermieri e quando ti dicono 'grazie' anche solo perché gli hai asciugato la fronte o la bocca o anche solo perché gli stringi la mano e con un sorriso dici loro 'forza che insieme la superiamo!', è commovente, ti riempie il cuore, ti dà la forza di andare avanti e di non mollare - racconta ancora Roberta - e non si può mollare perché sono pazienti che soffrono tanto e a lungo, 15 o 20 giorni di fila, non riescono a respirare sono stremati e qualcuno purtroppo non ce la fa». «Sono 40, 50 posti letto mai vuoti. Appena se ne libera uno, il tempo di rimettere a posto il letto e disinfettare e già viene occupato da un altro paziente - prosegue nel racconto della sua esperienza Roberta, con voce commossa - ci sono persone sole, mogli, mariti, chi ha lasciato qualcuno a casa in quarantena e vuole avere notizie, chi piange un parente, madre o marito o moglie, morti e non ha potuto salutarli. Chi è preoccupato, chi disperato ma continuano comunque a dirti 'Graziè».
«Ogni paziente è una storia e ha una storia e ti tocca nel profondo - spiega Roberta - sono fragili. Si passa da un letto all'altro, non ci si ferma mai e per qualsiasi cosa che si fa, una carezza, un sorriso, la flebo o per chi può dare un goccio d'acqua da bere: quel grazie di ritorno è la carica. Ricordo un signore, molto anziano, 92 anni, ricoverato qui in reparto, stava male, ma piano piano si è ripreso, gli tenevo stretta la mano e un sorriso anche da sotto la mascherina e ora sta bene è guarito ed è in via di dimissioni e una volta lavato e pulito lui ha detto 'sono così pulito e profumato che sono pronto per il mio terzo matrimonio!'».
«Mi ha toccato poi il racconto di una giovane donna che parlando mi ha detto di avere due figli bellissimi e che stanno bene, mentre ha perso il fratello e poi mi ha detto che non poteva pensare in quel momento al lutto per il fratello, - racconta ancora Roberta - non poteva permetterselo perché doveva tornare dai suoi figli.
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