«Quella sera mi sentivo in colpa, responsabile per la morte di mia figlia. Ma ero in affanno, mi mancava il respiro. Svenni». È così che la madre di Fatima, la bimba morta a Torino il 23 gennaio 2022 dopo essere precipitata, ha spiegato il suo stato d'animo nell'immediatezza del fatto. La donna, italiana, ne ha parlato oggi testimoniando in Corte d'assise al processo contro l'ex fidanzato ora accusato di omicidio volontario.
Il timore delle intercettazioni
La sua prima versione fu che la bambina «era uscita di casa da sola senza che me accorgessi» per andare a trovare l'uomo, che abitava nello stesso caseggiato, come faceva ogni tanto: «Lui - aggiunse - non la fece cadere opposta». Le sue dichiarazioni successive furono di tenore opposto. L'uomo, anche sulla base di numerosi accertamenti tecnici, ora risponde di omicidio volontario, anche se insiste che si trattò di un incidente. «Ma lui - non mi disse che Fatima era scivolata. Ricordo che era agitato, che dava i calci all'auto della polizia, e nient'altro. È passato un anno». L'avvocato difensore, Alessandro Sena, le ha chiesto conto delle conversazioni con un'amica in cui disse di non potere parlare al telefono. «I miei timori di essere intercettata - ha risposto - si riferivano ai giornalisti, che mi mandavano messaggi e richieste di amicizia sui social per cercare di intervistarmi. Io, peraltro, in quel periodo ero in un luogo protetto. Della giustizia non ho mai avuto paura».
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