LA FORMA PIÙ PURA
Su quest’ultimo punto il leader dell’opposizione Jeremy Corbyn è stato categorico: o si esclude del tutto o non mi siedo neppure al tavolo, ha detto. Ma per l’influentissimo Erg, gruppo euroscettico guidato da Jacob Rees-Mogg, il quale martedì sera ha ospitato un ricevimento nella sua bella casa nei pressi di Westminster per brindare con lo champagne alla sconfitta della May, la possibilità di applicare il “no deal” è vista come auspicabile e benefica, la forma più pura di Brexit, sebbene terrorizzi praticamente tutto il mondo del business e dell’impresa del paese.
Quando lunedì prossimo, come previsto, la premier metterà il suo piano B, emendabile, sul tavolo, si capirà se avrà puntato a un approccio autenticamente bi-partisan oppure avrà continuato a dare la priorità all’unità del suo partito, sempre più compromessa. E tenendo conto che Corbyn ha annunciato che quella di ieri è solo la prima di una serie di mozioni di sfiducia contro l’esecutivo, il rischio è che la May in futuro non riesca a sopravvivere a un voto e si ritrovi accoltellata dai suoi. I quali, è bene ricordare, a dicembre hanno tentato di spodestarla con un voto di fiducia sulla sua leadership del partito, senza riuscirci: il risultato è che non possono più sfidarla fino alla fine del 2019 e che la loro unica chance è farlo attraverso il Labour, anche se i LibDem, che ieri hanno votato contro la May, hanno detto che non intendono sostenere altri voti di sfiducia.
LE DIVISIONI A SINISTRA
Solo che anche il principale partito di opposizione è spaccato: 71 deputati laburisti hanno scritto una lettera chiedendo un secondo referendum ma il loro leader si rifiuta di impegnarsi su questa soluzione e di calare le carte sulla sua idea di Brexit. Molti laburisti chiedono anche rassicurazioni sulla tutela dei diritti dei lavoratori, oltre che sulla partecipazione all’unione doganale. Il primo incontro, nella serata di ieri, è avvenuto con la pugnace leader del Dup Arlene Foster, che sulla clausola di salvaguardia per l’Irlanda del Nord ha mantenuto un’opposizione finora inamovibile: è stato definito «utile».
Ad ogni modo la possibilità che venga richiesta un’estensione dei termini dell’articolo 50, prematuramente invocato il 29 marzo del 2017 senza che ci fosse neppure l’ombra di una posizione condivisibile tra le forze politiche britanniche, appare ormai quasi inevitabile.
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