La PFM portano De Andrè in concerto, come 45 anni fa: «Binomio indissolubile». Quell'occasione mancata con Battisti

Un'idea, quella del 1978, nata in Sardegna tra un bicchiere di Cannonau e una chitarra. "Lui ci lasciò libertà assoluta sui brani". "Con Lucio avevamo già in programma due date e un disco live".

La PFM portano De Andrè in concerto, come 45 anni fa: «Binomio indissolubile». Quell'occasione mancata con Battisti

di Totò Rizzo

Tutta colpa di Marinella. Intesa come “La canzone di…”. 1978,  concerto della Pfm in Sardegna. Tra il pubblico Fabrizio De André che alla fine  va  in camerino a congratularsi e invita a pranzo la band, nella sua fattoria, lui ormai coltivatore provetto, «faceva nascere certe varietà di alberi e piante da lasciare stupiti perfino i contadini sardi», raccontano oggi, quasi 50 anni dopo, Franz Di Cioccio e Patrick Djivas, Premiata Forneria Marconi di primissima ora.

Così tra un bicchiere di Cannonau e un accordo di chitarra…

«Si canta  “Marinella” che noi però mixiamo a sorpresa nell’inciso con “Impressioni di settembre”. Poco più che uno scherzo, un capriccio musicale. Fu molto divertente».

Da qui  viene fuori l’idea.

«Tornati a Milano, Franz ci pensa su e fa: perché no? Fabrizio era ormai convinto di appendere al chiodo la sei corde e di ritirarsi a fare il Cincinnato in terra sarda, dopo quel concerto ci aveva detto che solo se supportato da una band come la Pfm forse si sarebbe ricreduto, noi eravamo pompati dallo strepitoso tour americano con 550 live e così il connubio più eretico per quel tempo, lui con noi sul palco, diventò realtà».

A 45 anni di distanza la Pfm ha scelto di celebrare quell’evento con un concerto che sembra non avere mai sosta, tanto si arricchisce di date e di sold out. Venerdì e sabato sarà a Roma, all’Auditorium Parco della Musica.

Sembrava una follia: cosa sciolse il nodo della perplessità?

«Noi eravamo convintissimi, De André un po’ meno. Ma siccome tutti ci davano dei matti – promoter, discografici, giornalisti, colleghi – Fabrizio, da buon bastian contrario, decise di sì, che forse valeva la pena correre quel rischio».

Fu una corsa contro il tempo…

«Ci dividemmo i brani da arrangiare, tu prendi questi e tu questi altri, ci lavorammo individualmente e fu una fortuna perché uscirono fuori cose diverse, poi riunite in un’unica idea musicale compiuta. Fabrizio ci lasciò libertà assoluta, il nostro manager Franco Mamone aveva prenotato i palazzetti, ci disse “tranquilli, al limite se voi o Fabrizio ci ripensate, disdiciamo” ma alla fine la nave salpò».

E adesso, mezzo secolo dopo, quel concerto, senza Fabrizio, si ripete per platee di settantenni e adolescenti.

«È la magia di un poeta come De André che oggi ci manca più che mai, per la sua capacità di leggere la realtà in un’ottica diversa, una voce critica contro il pensiero corrente. E poi i nostri fedelissimi che ci hanno seguito nelle varie incursioni tra prog, rock-jazz, classica, canzone d’autore. Mai seguito un filone, la Pfm, mai troppo programmato. Ci siamo lasciati trascinare dalla curiosità, a volte anche dal caso ma prendendo tutto sempre molto sul serio. Siamo sul palco da 53 anni, abbiamo fatto migliaia di live, sai che noia se avessimo suonato sempre la stessa musica».

Nel concerto celebrativo di quel sodalizio con De André c’è anche una parte dedicata alla “Buona novella”.

«Sì, ed è sempre uno dei momenti più commoventi.

Alcuni di noi avevano collaborato al disco di Fabrizio nel 1971 ma come turnisti, a seconda dello strumento ognuno era stato ingaggiato per dare la propria prestazione. In quel tour insieme, poi, suonammo con lui solo due brani da “La buona novella” Così quando Fabrizio è venuto a mancare, ci siamo chiesti perché non dare una veste più fortemente strumentale all’intero album delle origini e così è stato. Ci dicono ancora tante cose quelle riletture dei Vangeli apocrifi».

Cinquant’anni di musica e tante collaborazioni: c’è un’occasione mancata, una che ancora rimpiangete?

«Senza dubbio quella con Lucio Battisti. Noi arrivavamo da questo bel successo del tour con Fabrizio, con Lucio alcuni di noi erano molto amici, avevamo origini simili, quelle del rythm’n’blues, avevamo spesso suonato nei suoi dischi. Insomma, ci pensammo su. Certo, le canzoni di Battisti erano più strutturate musicalmente rispetto ai brani di De André, si sarebbe dovuta fare una rivoluzione nella rielaborazione ma il progetto ci intrigava. Erano in previsione due sole date, Milano e Roma – Lucio non era artista da lunghe tournée – e un disco live. Ma non se ne fece niente. Lui viveva già in Inghilterra, era restio ad apparire, era cambiato parecchio in quel periodo post-Mogol, caratterialmente e fisicamente. Chissà cosa sarebbe venuto fuori».

A parte voi, che siete di lunghissimo corso, sono state diverse le new entry nella Pfm. Dura, la selezione?

«In questo tour ci sono musicisti più giovani di noi ma che sono nel gruppo già da alcuni anni. Marco Sfogli, ad esempio, che crediamo sia uno dei chitarristi oggi più bravi in Europa, un’eccellenza nel suo strumento».

Difficile oggi per un ragazzo emergere, forse più di ieri.

«Il mondo delle proposte musicali è talmente vasto e i meccanismi sono talmente cambiati che forse non si possono fare paragoni con cinquanta o anche con dieci anni fa. Oggi scopri adolescenti su YouTube che suonano il basso in modo strepitoso ma un conto è essere strumentista, un altro essere musicista. Sui social, per esempio, ci sono giovani artisti fantastici ma che non hanno mercato, che nessuna radio trasmette e nessuna tv manda in onda. C’è tanta musica in giro per il mondo, molta si assomiglia, è vero, ma ce ne sarebbe altra da prendere in considerazione, da promuovere, da fare uscire dal giro dei locali, se l’industria non si adagiasse nella comfort-zone del mainstream».

La Pfm è da mezzo secolo e spicci sull’onda: mai detto “spegni quel microfono, stacca quel jack, metti via quelle bacchette”?

«Ogni tanto qualche acciacco prima di un concerto – un dolore al ginocchio, una fitta alle dita – ti fa balenare quel pensiero, poi sali sul palco e ti diverti così tanto, ti arriva così forte l’affetto del pubblico che ti scordi di avere quasi 80 anni e ti godi soltanto questo enorme privilegio».


Ultimo aggiornamento: Sabato 18 Maggio 2024, 14:46
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