Morire per un selfie

Morire per un selfie

di Maddalena Messeri
Venerdì notte un ragazzo di 18 anni è precipitato (fratturandosi diverse costole) nell’ex fabbrica della Penicillina di Roma, facendo un volo di sei metri dal tetto dell'edificio abbandonato. Sorte peggiore è capitata a Inessa Polenko, influencer russa precipitata da un pontile sul Mar Nero, al cinquantenne Luca Aghemo affogato nei Murazzi di Torino e all’acrobata Remi Lucidi caduto da un grattacielo di Hong Kong. Cosa accomuna questi drammi? Molto probabilmente un selfie. Tutte queste persone hanno infatti perso la vita - o rischiato di farlo - nell’intento di scattarsi una foto, riprendersi in un luogo inusuale per poi magari postare sui social. Peccato che quegli autoscatti non sono mai comparsi online e tale avventatezza è stata pagata a carissimo prezzo.
Non si parla di casi isolati ma di una tendenza mondiale, tanto che secondo la ricerca del “Journal of Travel Medicine” il killer-selfie sarebbe diventato più pericoloso degli attacchi degli squali. Le statistiche riportano che negli ultimi 13 anni sono stati oltre 400 i morti per selfie e circa 90 i decessi in cui sono stati coinvolti degli squali. Dagli abissi del mare agli abissi della modernità, fatta di tecnologia e di una continua esposizione mediatica, di un'autonarrazione affannata e goffa che spesso produce i risultati contrari. Così fare la foto ad un bel panorama non basta più, ma ha bisogno del sé al suo interno, come certificazione che in quel luogo ci sono stato davvero io. Un egocentrismo pericoloso che nei casi più gravi diventa un problema di salute pubblica.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 13 Maggio 2024, 08:58
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