Vinicio Capossela, il tour parte da Roma:
"Alzo la mia Polvere per riscoprire le radici"

Vinicio Capossela, il tour parte da Roma: "Alzo la mia Polvere per riscoprire le radici"

di Claudio Fabretti
«Abbiamo alzato tanta Polvere. Con un concerto che ci collega alle nostre radici, e le fa affiorare nel mondo d’oggi. Un mondo di frontiere, sempre aperte per la musica, ma tragicamente chiuse per gli uomini».

Camicione bianco aperto e immancabile copricapo bizzarro con spighe di grano in testa, Vinicio Capossela ci accoglie nei suoi camerini dopo l’ennesimo show torrenziale, che ha esaltato il pubblico dell’Auditorium. «Il concerto della Polvere - spiega il cantautore, che ha diviso il tour in due parti, Polvere e Ombra, come già fatto anche per il disco Canzoni della Cupa - evoca la cultura della terra, il sudore, la fatica, ma anche le feste nell’aia e gli sposalizi, oppure le processioni verso il camposanto. Un mondo rurale che fa parte delle mie radici, anche se l’ho vissuto attraverso il racconto». 

Nel live, però, c'è ancora posto per alcuni suoi personaggi storici, dal Marajà all'Uomo Vivo, dal Re della cantina di Che coss'è l'amor al Ciccillo de Il Veglione. «Loro sono gli accappanti, come venivano chiamati i non invitati più ingombranti alle feste di sposalizio», spiega Vinicio Capossela, che ha voluto anche rivolgere un saluto particolare a Bud Spencer: «Il nostro è un concerto di frontiera e lui, nei suoi film, è stato un uomo della frontiera per eccellenza, quella del West. Un'epica che ha reso anche più vicina a noi grazie alla sua grande simpatia».

Vinicio si fa più riflessivo, invece, quando pensa ai grandi temi della politica internazionale: «Questa migrazione biblica è il vero evento centrale di questi anni. Si stanno svuotando terre intere, paesi, comunità, le disgregano». Un po' come succede alla variopinta umanità delle Canzoni della Cupa, portata via dal Treno della storia: «Quel brano è il vero commiato del concerto, ci fa capire come tutto è finito e come a quel punto la comunità si possa riformare solo attraverso il racconto. Ed è quello che ho cercato di fare io con queste canzoni». Un progetto nato addirittura nel 2003. «Un anno prima avevo incontrato Matteo Salvatore (il grande compositore di musica popolare scomparso nel 2005, ndr). Nel 2001 ho visto i Calexico la prima volta, restando folgorato dal loro tex-mex di frontiera. Poi ho scritto il romanzo Il paese dei Coppoloni. Sono tutti eventi che hanno segnato la nascita delle Canzoni della Cupa».

Canzoni che, sotto la polvere folklorica delle memorie, nascondono un messaggio universale: «Mi piacerebbe che venissero conosciute anche all'estero - dice Capossela - Seppur ambientate nel Meridione d'Italia, non sono connotate geograficamente. Poi però credo anche che - come sosteneva De Martino - Per essere cittadini del mondo, bisogna avere una lingua, un paese cui tornare nella memoria. La burocrazia internazionale dovrebbe garantire la libera circolazione, ma non dovrebbe omologare il linguaggio e cancellare le realtà culturali locali».
Vinicio saluta, è pronto a partire per nuove tappe del suo tour estivo. Con tanta Polvere nelle scarpe e gioia in fondo al cuore.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 30 Giugno 2016, 08:40
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