Stanley Tucci: "Il successo e i soldi mi aiutano a fare pellicole indie"

Stanley Tucci: "Il successo e i soldi mi aiutano a fare pellicole indie"

di Alessandra De Tommasi
Ha sempre la battuta pronta ma sa raggelarti con uno sguardo: Stanley Tucci, nominato all'Oscar per il ruolo del serial killer in Amabili resti, cambia registro e pelle con straordinaria velocità. E al Festival del cinema di Edimburgo (attualmente in corso con l'edizione 70) si presenta come regista di Final Portrait, storia dello scultore Alberto Giacometti (Geoffrey Rush). Non è un caso, perché le origini in un modo o nell'altro ritornano.

La sua famiglia è originaria di Potenza, a inizio carriera le è pesato lo stereotipo dell'italoamericano?
«Sono felice delle mie radici ma non ho mai condiviso l'associazione alla criminalità che da Il Padrino in poi viene fatta. Il film comunque resta un capolavoro e l'ho appena fatto vedere al mio figlio maggiore Nicolo, che ha 17 anni e si è appassionato al cinema, mio malgrado».

Da padre come ha potuto dormire sereno dopo Amabili resti?
«La mia prima moglie, Kathryn, che riposi in pace, mi aveva sconsigliato di farlo dopo aver letto il libro. A me sembrava una storia necessaria su amore e perdita e ho voluto raccontarla. È stata una delle decisioni più difficili della mia carriera e non lo rifarei».

Attualmente è in sala con Transformers - L'ultimo cavaliere a cui alterna pellicole intime come Final Portrait. Le piace variare?
«Una volta mi hanno detto che vanno alternati i film: uno per la gloria, uno per i soldi, uno per l'ambientazione. Ho viaggiato tanto e mi piace stare a casa con la mia famiglia quindi non mi allettano più le location esotiche ma so che fare un blockbuster aiuta a essere riconoscibile e portare gente al cinema per un progetto indie». 

Un bel musical?
«Non so cantare. Ho accettato La Bella e la Bestia a patto di non aprire bocca e invece mi hanno fatto intonare due versi. Un disastro: il maestro di canto si è arreso dopo 5 minuti».

Come ballerino se la cava meglio?
«In Shall we dance? con Richard Gere speravo d'imparare la fluidità. Macché: ero in forma ma zero eleganza nei movimenti».

Com'è stato lavorare con Meryl Streep?
«Per preparare Julie & Julia ci siamo dati alla cucina per un pomeriggio. La sintonia ai fornelli si è creata, anche se eravamo alticci e il risultato era immangiabile».

Prossimi progetti?
«Una serie tv apocalittica, un thriller in autunno a Toronto, magari uno spettacolo a Londra e un nuovo libro di cucina».

I suoi eroi al cinema?
«Ho gusti eclettici, da Bergman a Jason Statham. E vado pazzo per Bourne, tanto che il mio amico Matt Damon ormai mi considera uno stalker».
Ultimo aggiornamento: Martedì 27 Giugno 2017, 09:00
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