Berlinale, Picnic a Hanging Rock: il cult si fa serie

Berlinale, Picnic a Hanging Rock: il cult si fa serie

di Ilaria Ravarino
BERLINO - Tira un'aria strana, alla Berlinale, l'ultimo giorno prima dell'assegnazione dell'Orso d'oro. Come se il festival più militante d'Europa, in attesa di consegnare il premio, come tradizione vuole, a una pellicola ben radicata nel reale (tra i favoriti ci sarebbe Utoya, 22 Juli di Erik Poppe) si fosse concesso una piccola deviazione nella favola dark, nel sogno, nell'irrazionale.

Da una parte il concorso, con Mug della regista polacca Malgorzata Szumowska, ad aprire la giornata con una storia acida e grottesca: quella di un operaio che, vittima di un incidente mentre è al lavoro sull'installazione di una gigantesca statua di Gesù, è costretto per salvarsi a ricorrere a un trapianto facciale. Tornato nel suo paese con una nuova faccia, l'uomo dovrà confrontarsi con l'ostilità dei parenti, la curiosità dei media, la superstizione della gente. Il film, che ieri ha diviso la critica a Berlino, sarà distribuito anche in Italia nel corso dell'anno. «Mi piaceva l'idea della metafora di un volto deforme che si rispecchia in una società deformante - ha detto la regista - Come in una favola per adulti sulla perdita dell'identità».

PICCOLO SCHERMO
In armonia con il concorso, anche sul versante delle serie tv la realtà, ieri, è stata tenuta a distanza. E la sezione dedicata al piccolo schermo - dove è passata la serissima The Looming Tower, su Al Qaeda e CIia - ha chiuso ieri con le prime due puntate di Pic Nic At Hanging Rock, psichedelica serie in sei puntate di Foxtel tratta dal romanzo australiano cui si ispirò Peter Weir per l'omonimo film del 1975. Distribuita in Germania a maggio, comprata per gli Stati Uniti da Amazon e per l'Inghilterra da Bbc, la serie potrebbe arrivare in Italia con Sky, mentre in Australia, dove è stata presentata un giorno prima che alla Berlinale, è già un piccolo caso.

L'ambientazione, la natura selvaggia dell'Australia meridionale, e le premesse, la misteriosa sparizione di quattro studentesse di un collegio per donne durante una gita nel bosco ai primi del Novecento, sono le stesse. Ma la realizzazione segue strade completamente diverse. Se il film di Weir, tutto flauti di pan, rallenty e riferimenti all'arte classica, è un'elegante elegia sul contrasto tra repressione sessuale e potenza della natura, la serie tv è una ballata (hard) rock sulla forza sessuale, e non solo, del femminile. In totale accordo con lo spirito dei tempi, le fanciulle del collegio non sono le adolescenti angelicate che Weir immaginava correre a piedi nudi di bianco vestite, ma giovani donne attraenti, dalle labbra turgide e i capelli lunghi, consapevoli della propria bellezza. Donne capaci di infilare un forcone da fieno nel piede di un molestatore, come accade nella prima puntata alla protagonista Miranda Reid.

Tormentate orfane votate a una rabbiosa autodistruzione o ninfe provocanti, le ragazze (le giovani interpreti Lily Sullivan, Samara Weaving, Madeleine Madden) sono ribelli e indomabili piccole donne in lotta per l'autodeterminazione, in bilico tra Mean Girls e Alice nel paese delle meraviglie. Ma il cambiamento più importante, e significativo dei tempi, è quello che tocca al personaggio della preside del collegio che ospita le ragazze, Miss Hester Appleyard, interpretata da Natalie Dormer: «All'inizio non volevo farlo. Da una parte perché mi terrorizzava il confronto con il film di Weir, dall'altra perché, dopo il fantasy di Game of Thrones, avevo giurato di smetterla con i corsetti. Poi ho letto il copione e sarei stata pazza a non accettare. È uno di quei ruoli che ti cambiano la vita».

IL SEGRETO
Fin dai primi minuti del primo episodio, mentre la vediamo acquistare il maniero nel bosco in cui sorgerà il collegio, scopriamo che la donna nasconde un segreto nel passato, che sta scappando da qualcosa e che quella, probabilmente, non è la sua vera identità. La sua discesa nell'alcolismo e nella pazzia, mentre le indagini sulla sparizione delle ragazze, che avviene al termine del primo episodio, procedono giorno dopo giorno, segna il ritmo di una serie che per i produttori «ha un contenuto sofisticato per un pubblico sofisticato».

Rispetto alla sessualità, centrale nel film di Weir, secondo la regista Larysa Kondracki, già alla guida di alcuni episodi di The Walking Dead e The Americans, «la serie ha un suo modo particolare di essere sexy. La sensualità c'è, ma è come trattenuta. C'è una scena di un bacio fra le ragazze, nel terzo episodio. Ma più che erotismo comunica un senso di scoperta e di legame fraterno. Di sorellanza». O, come ha spiegato Dormer alla Berlinale: «È sensualità raccontata non dal punto di vista maschile, ma da quello femminile. C'è qualcosa di magico, qualcosa di trascendentale in questo progetto. Come se tutto il racconto fosse coperto da una polvere magica».
Ultimo aggiornamento: Sabato 24 Febbraio 2018, 20:27
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