Ilaria Ravarino
Mia nonna diceva: sii autonoma, genera reddito. E non ti sposare.

Ilaria Ravarino Mia nonna diceva: sii autonoma, genera reddito. E non ti sposare.
Ilaria Ravarino
Mia nonna diceva: sii autonoma, genera reddito. E non ti sposare. Così Concita De Gregorio riassume, in una battuta, il senso dell'eredità culturale che le donne hanno ricevuto dalle loro madri: un tema che va dritto al cuore di Lievito madre - Le ragazze del secolo scorso, il film realizzato dalla giornalista insieme a Esmeralda Calabria che sarà proiettato questa sera al teatro Argentina con concerto finale di Nada.
Com'è nato il progetto?
«Tutto è partito da un gruppo di lavoro con cui volevamo realizzare i comizi d'amore del nuovo millennio. Ci siamo chieste: come sono, oggi, le donne? Abbiamo raccolto 1000 testimonianze, 500 ore di girato. Ne abbiamo fatto una web serie seguita da cinque milioni di contatti. A quel punto sono arrivati gli sponsor».
Il film, però, non parla delle ragazze. Parla delle madri.
«Perché le interviste alle donne più grandi sono quelle che ci hanno divertito di più. Sono donne libere, eversive e spregiudicate, incuranti del giudizio degli altri. Sono il nostro lievito madre, appunto: la generazione che ci ha messe al mondo».
E la nostra generazione?
«Le nostre madri hanno cambiato il mondo, le nostre figlie vivono in un ambiente in cui se non si ribellano non c'è posto per loro la storia ci ha consegnato un ruolo più grigio: mantenere intatto quel che ci è stato dato, senza peggiorare le cose. Non abbiamo fatto la rivoluzione. Siamo la generazione Carlo d'Inghilterra: il trono passerà dalla nonna alla nipote».
Natalia Aspesi, una delle madri, è stata dura sul caso Weinstein. Che ne pensa?
«Da una parte sono d'accordo con chi dice che quando entri nella stanza di un produttore c'è una porta per entrare e uscire, e che gli stupri si consumano altrove. E capisco anche Natalia. Ci sono però tipi di violenza per cui il confine sulla volontarietà è molto ambiguo. Chi di noi si è incamminata da giovane in mondi edificati secondo gerarchie maschili, ha sperimentato la stessa situazione: il direttore, il produttore, il preside che ti chiama nella stanza, ti lusinga e ti chiede di essere gentile. Poi ognuna ha reagito a suo modo. Insomma: il tema della volontarietà, dell'entrare e uscire dalla porta, esiste. Ma esiste anche la stanza».
E come ci si libera della stanza?
«Finché non cambiamo le regole ridisegnando il mondo, saremo costrette a vivere più o meno comodamente nel mondo che hanno costruito gli altri».
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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 18 Ottobre 2017, 05:00