Carminati & C.: ecco perché non fu Mafia

Carminati & C.: ecco perché non fu Mafia
Davide Manlio Ruffolo
«Il Tribunale non ha individuato, per i due gruppi criminali (quello costituito presso il distributore di Corso Francia e quello che si occupava degli appalti pubblici), alcuna mafiosità derivata da altre, precedenti o concomitanti formazioni criminose». Questo uno dei passaggi chiave, contenuto nelle 3200 pagine di motivazioni della sentenza del procedimento sulla cosiddetta Mafia Capitale, con cui i giudici della X sezione penale del Tribunale di Roma hanno fatto cadere l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso nei confronti degli imputati del maxi processo.
Nel lungo testo i giudici hanno così analizzato, punto per punto, tutte le accuse. In relazione alla presunta continuazione da parte dei soggetti finiti sotto processo, tra cui spicca Massimo Carminati, con la banda della Magliana, i giudici scrivono che «non è possibile stabilire una derivazione tra il gruppo operante presso il distributore di benzina, l'associazione operante nel settore degli appalti pubblici e la banda della Magliana, gruppo criminale organizzato e dedito ad attività criminali particolarmente violente e redditizie che ha operato nella città di Roma, ramificandosi pesantemente sul territorio, tra gli anni 70 e l'inizio degli anni 90». Questo sia perché quest'ultimo gruppo criminale è da considerarsi «ormai estinto a seguito delle vicende giudiziarie che lo interessarono» che per la costatazione che «il punto di collegamento, tra i due gruppi (scoperti con l'indagine Mondo di Mezzo) e la banda della Magliana, è dunque costituito dalla sola persona di Massimo Carminati».
Anche il mancato ritrovamento delle armi è un punto nodale della ricostruzione offerta dal collegio giudicante. Scorrendo le pagine, infatti, si legge che: «Nessuna arma è stata rinvenuta nel corso delle perquisizioni, che portarono soltanto ad individuare, presso le abitazioni di Carminati e Brugia, nascondigli compatibili con quelli descritti nelle conversazioni e, quanto all'abitazione di Brugia, a rinvenire un set per la manutenzione di armi».
Tuttavia, pur essendo caduta la principale accusa del processo, la sentenza del 20 luglio scorso ha stabilito pesanti condanne per gli imputati del procedimento scaturito dall'inchiesta Mondo di Mezzo. In quell'occasione ben 41 imputati sono stati condannati a pene complessive per 250 anni di carcere, mentre per altri 5 è stata disposta l'assoluzione. Le condanne più pesanti sono state quelle a 20 anni per Carminati, a 19 per Buzzi e a 11 anni per Riccardo Brugia.
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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 18 Ottobre 2017, 05:00