Dj Fabo, al gip la richiesta di archiviazione per Cappato i pm: "Diritto alla dignità e al suicidio"

Dj Fabo, al gip richiesta archiviazione per Cappato

di Claudia Guasco
La decisione arriverà nel giro di un paio di settimane. Sarà il gip di Milano Luigi Gargiulo a valutare la richiesta di archiviazione dell’inchiesta nei confronti di Marco Cappato, l’esponente dei radicali indagato per aiuto al suicidio: è stato lui a guidare la macchina che ha portato da Milano a Pfaffikon, nel pressi di Zurigo, Dj Fabo, che il 27 febbraio in un letto della clinica Dignitas si è tolto la vita con la procedura del suicidio assistito.

DIRITTO ALLA DIGNITA'
Fabiano Antoniani aveva 39 anni, era cieco e tetraplegico da quattro a seguito di un incidente e si è rivllto al tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni per mettere in atto il suo progetto di “dolce morte”. «La mia vita è un tormento», ripeteva nei suoi appelli, l’ultimo al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dopo averlo accompagnato in Svizzera, Cappato si è autodenunciato ai carabinieri e la Procura di Milano lo ha iscritto nel registro degli indagati. Ma per i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini l’esponente dei Radicali ha solo aiutato una persona malata non terminale ma in «condizioni drammatiche» e con una tetraplegia irreversibile a esercitare un proprio diritto.

Pur avendolo «privato della vista e del movimento», la malattia «non l’aveva reso insensibile al dolore», da qui - è la tesi dei magistrati - il diritto alla dignità e, quindi, all’autodeterminazione che in questo caso prevale sul diritto alla vita. Secondo i pm, «non può in alcun modo essere messo in dubbio» che la «scelta di porre fine alla sua esistenza fosse per Fabiano Antoniani assolutamente volontaria» di fronte a una prognosi «tutta raccolta in un’unica, agghiacciante parola: irreversibile» e a condizioni fisiche definite «drammatiche». Dopo vari tentativi di recupero, tra cui il trapianto di cellule staminali, per lui la sentenza era «inappellabile»: a causa del grave incidente stradale «sarebbe rimasto cieco e paralizzato seppur in pieno possesso delle sue facoltà mentali». Inoltre, il suo corpo «inerte», si legge nella richiesta di archiviazione per Cappato, «era percorso da insostenibili spasimi di sofferenza più e più volte al giorno». Un «dolore che solo farmaci potenti riuscivano a lenire ma al prezzo di obnubilargli la mente togliendogli così l’unico contatto con la vita che ancora gli rimaneva».

APPELLO AL LEGISLATORE
In questo quadro per la Procura di Milano «il principio della dignità umana impone l’attribuzione a Fabiano Antoniani, e in conseguenza a tutti gli individui che si trovano nelle medesime condizioni, di un vero e proprio “diritto al suicidio” attuato in via indiretta mediante “la rinunzia alla terapia”, ma anche in via diretta, mediante l’assunzione di una “terapia” finalizzata allo scopo suicidario».

Per Dj Fabo «rinunciare alle cure - scrivono i pm - avrebbe significato andare incontro a un percorso certamente destinato a concludersi con la morte, ma solo a seguito di un periodo di degradazione a una condizione ancora peggiore di quella in cui si trovava nel momento in cui ha preso la sua decisione».
E in questo senso «l’ordinamento italiano, che ha come fine ultimo il perseguimento del “pieno sviluppo della persona umana”, non può consentire una così grave lesione della dignità di un individuo». Ritenendo che in questa situazione le pratiche di suicidio assistito «non costituiscono una violazione del diritto alla vita», i magistrati lanciano un appello al legislatore auspicando un intervento «urgente», affinché si faccia «carico in prima persona del problema. Disciplinando «rigorosamente tale diritto», quello del suicidio assistito, anche nel nostro Paese «in modo da prevenire il rischio di abuso, ad esempio, sotto forma di pratiche eutanasiche nei confronti di persone il cui consenso non sia sufficientemente certo». Ora la parola passa al gip.

Ultimo aggiornamento: Lunedì 8 Maggio 2017, 17:27
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