Uno bianca, Savi esce dal carcere. Ira dei parenti delle vittime:
"Le persone uccise non hanno permessi premio"

Uno bianca, Savi esce dal carcere. Ira dei parenti delle vittime: "Le persone uccise non hanno permessi premio"
Alberto Savi, l'ex poliziotto condannato all'ergastolo per gli omicidi della Uno bianca, ha chiesto e ottenuto per la prima volta dopo 23 anni di carcere un permesso premio: dodici ore di libertà, dalle 8 alle 20, di cui ha già beneficiato trovando ospitalità in una comunità protetta. Savi, 52 anni, è detenuto nel carcere di Padova.

Contro il permesso premio, come riportano i giornali locali, si era schierata la Procura della Repubblica, presentando un ricorso al via libera dato a dicembre dal giudice di sorveglianza. Per ottenere le dodici ore di libertà, il più giovane dei fratelli Savi aveva presentato una serie di relazioni degli operatori del carcere Due Palazzi che attesterebbero un percorso di pentimento iniziato da tempo, accompagnato da un coinvolgimento lavorativo prima nel call center dell'istituto di pena per conto del Cup (Centro unico di prenotazione) dell'Azienda ospedaliera e dell'Uls 16 di Padova e successivamente in un'altra realtà. Sull'ok potrebbe aver pesato anche la lettera inviata nel settembre scorso all'arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi, per chiedere perdono per quanto fatto.

ANCHE IL FRATELLO HA CHIESTO PERMESSI Anche Fabio Savi ha avanzato richieste di permessi premio, ma finora sono state rigettate. Fabio, 56 anni, è all'ergastolo come i due fratelli ex poliziotti, Roberto, che con lui era il capo del gruppo criminale, e Alberto, il minore, a cui il tribunale di Sorveglianza di Padova ha concesso invece il beneficio per 12 ore. Fabio Savi, detto 'Il lungò è detenuto nel carcere di Uta a Cagliari e proprio davanti ai giudici di Sorveglianza del capoluogo sardo pende un suo reclamo contro un primo no ad una richiesta di permesso. In precedenza era stata la Cassazione a dichiarare inammissibile un ricorso scritto personalmente da Savi quando era in carcere a Spoleto, con sentenza depositata ad agosto 2016. Inizialmente il permesso gli era stato accordato, ma la Procura aveva impugnato il provvedimento che quindi è rimasto non eseguito, e il tribunale di Sorveglianza di Perugia, a ottobre 2014, aveva deciso per la non concessione. In modo legittimo, per i supremi giudici, perché nel provvedimento si segnalava «non soltanto l'assenza di un'esperienza premiale, ma anche il parere non favorevole del direttore, la pericolosità del detenuto quale desumibile dalla gravità dei fatti di cui al titolo di detenzione e l'ancora incompleto precorso di qualificata osservazione della personalità». Dopo 23 anni di carcere e considerando anche la liberazione anticipata (45 giorni ogni semestre) «ritengo che i termini per ottenere benefici siano maturi per tutti», dice oggi il suo difensore, l'avvocato Fortunata Copelli. «Altrimenti - aggiunge - chiudiamo le carceri, perché non c'è rieducazione». Roberto Savi è invece detenuto a Bollate (Milano) e non risulta abbia avanzato richieste. Il quarto ergastolano della banda è Marino Occhipinti, anche lui a Padova: è in semilibertà dal 2012.

LA RABBIA DEI PARENTI DELLE VITTIME «I nostri morti non hanno permessi premio». Rosanna Zecchi, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime della banda della Uno bianca, reagisce così alla notizia del permesso di cui ha usufruito per la prima volta dopo 23 anni Alberto Savi, il più giovane dei tre fratelli condannati all'ergastolo per i delitti del gruppo criminale. «Da poco - prosegue Zecchi parlando con l'ANSA - siamo stati a due commemorazioni, di Beccari a Casalecchio e di Valenti a Zola Predosa, persone a cui la banda ha reciso la vita. Per noi questa gente non deve più avere voce in capitolo. Io non credo che si siano pentiti e mi auguro che dopo questo permesso la cosa finisca lì. E che i giudici non abbiano da pentirsi di averglielo dato», prosegue Zecchi. Nella concessione del permesso a Savi può aver contribuito la lettera all'arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi? «Non credo proprio che il vescovo - risponde Zecchi - abbia il potere di influenzare la giustizia». 

"I GIUDICI HANNO DEI FIGLI?" «Mi auguro che il giudice di sorveglianza» che ha concesso il permesso ad Alberto Savi «abbia figli e capisca cosa hanno fatto queste persone alle famiglie che avevano dei figli: glieli hanno tolti, il mio aveva 22 anni e mi rimane solo una tomba e non ho più lacrime da piangere». È arrabbiata e triste Anna Maria Stefanini, mamma di Otello, il carabiniere ucciso dai killer della Uno bianca insieme ai colleghi Mauro Mitilini e Andrea Moneta il 4 gennaio 1991 nella Strage del Pilastro a Bologna.

«La legge in Italia - dice al telefono con l'ANSA - è una vergogna, uno schifo. Che Paese è un Paese in cui persone che hanno ucciso 24 persone e ne hanno ferite 103 possono avere dei benefici? Devono gettare la chiave: nessun beneficio, nessun diritto. Non voglio vendetta, voglio giustizia. Hanno tolto la vita alle persone, la loro la devono passare in carcere fino alla fine. Che muoiano là dentro. Ogni volta che sentiamo queste cose è come se uccidessero nostro figlio di nuovo. Credo in Dio, sono cristiana ma non posso perdonare queste persone».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 24 Febbraio 2017, 16:53
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