Unioni civili, i vescovi: voto segreto.
Il governo: non decide la Cei

Unioni civili, i vescovi: voto segreto. Il governo: non decide la Cei
E' battaglia sul ddl Unioni civili, che oggi registra anche un nuovo intervento della Cei.

«Ci auguriamo che il dibattito in Parlamento e nelle varie sedi istituzionali sia ampiamente democratico, che tutti possano esprimersi, che le loro obiezioni possano essere considerate e che la libertà di coscienza su temi fondamentali per la vita della società e delle persone sia, non solo rispettata, ma anche promossa con una votazione a scrutinio segreto». Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, a margine della Messa per la giornata del Malato commentando l'iter del ddl Cirinnà.

«Le esortazioni sono giuste e condivisibili, ma come regolare il dibattito del Senato lo decide il presidente del Senato. Non il presidente della Cei», replica il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento Luciano Pizzetti (Pd).

«È talmente evidente che c'è un pezzo del Senato che non vuole il ddl sulle unioni civili e sta facendo tutto quello che può perché il non venga approvato. Il Pd, invece, vuole la legge». Così il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda replica all'ostruzionismo sollevato in Aula dai gruppi dell'opposizione. «Dopo 9 mesi di ostruzionismo in commissione - prosegue Zanda - abbiamo il dovere di regolare il dibattito. Il testo arriva in Aula senza relatore, senza, giustamente, il parere del governo, come facciamo a dare ordine ai lavori se vengono sollevate questioni che non hanno mai nulla a che fare con il merito della legge? Abbiamo avuto una lunghissima discussione generale, non sono stati posti termini per il voto finale e l'accordo valeva perché nessuno prevedeva tattiche ostruzionistiche. Invece si sta parlando solo di cavilli e non è questo il clima per cui tutti quanti ci siamo reciprocamente impegnati, evidentemente alcuni erano più sinceri degli altri».

Il ddl insomma rallenta la sua corsa: la decisione del Senato di far slittare l'inizio delle votazioni degli emendamenti dipende dall'esigenza del Pd di continuare la trattativa con la Lega Nord per farle ritirare la maggior parte dei 5.000 emendamenti, dopo il fallimento dell'accordo tentato oggi. Ma si studiano anche le contromosse, in un vero e proprio balletto di procedure, qualora il Carroccio non cedesse alle richieste Dem.
 
L'intesa di massima a cui si puntava era il ritiro da parte della Lega del 90% dei suoi 5.000 emendamenti, a fronte della rinuncia del Pd a un emendamento di Andrea Marcucci, denominato super-canguro: infatti se approvato, farebbe decadere la maggioranza delle altre proposte di modifica al ddl Cirinnà. Il testo Marcucci all'articolo 1 è un emendamento cosiddetto premissivo, vale a dire che enuncia anche i temi degli articoli successivi, facendo così decadere quegli emendamenti che mirano a modificare tali articoli. Un escamotage parlamentare già usato il 25 gennaio del 2015 per l'Italicum.

Tuttavia il «Marcucci» è un arma a doppio taglio: preclude anche degli emendamenti del Pd tesi a migliorare il ddl e, soprattutto, preclude un emendamento dei cattoDem (primo firmatario Stefano Lepri) che sostituisce la stepchild adoption con l'affido rafforzato, emendamento su cui il capogruppo Luigi Zanda si è impegnato a far votare con libertà di coscienza. Di fronte al canguro di Marcucci, che verrebbe a sua volta votato a scrutinio segreto, come si comporterebbero i cattoDem che sono stati privati della possibilità di votare il proprio emendamento? Il rischio di una bocciatura sarebbe reale. Di qui la riserva sul super-canguro.
 
La Lega ha intuito le titubanze dei Dem e per questo nella trattativa ha mostrato i muscoli: si è detta disponibile a ritirare il 90% delle proprie proposte, ma almeno 80 di quelle che rimangono sono a loro volta premissive: cioè ciascuna di esse fa riferimento alla stepchild adoption (prevista all'articolo 5) e richiederebbero lo scrutinio segreto. E su questo il Pd non ci sta, volendo limitare al massimo tale tipo di votazione. Una ipotesi a cui si lavora è una riformulazione del testo Marcucci. Una riscrittura servirebbe a non escludere gli emendamenti che tutto il Pd si è impegnato a votare, compresi quelli dei CattoDem. Tuttavia essa può essere richiesta solo dal governo, visto che il ddl è arrivato in Aula senza relatore.

Ma nelle riunioni con l'ufficio di presidenza del Pd il ministro Orlando ha spiegato che il governo non intende fare questa richiesta perché significherebbe trasformare la riformulazione in emendamento del governo, mentre vuole rimettere all'Aula ogni decisione, come ha spiegato il Guardasigilli in Aula. Senza contare i rischi della bocciatura. Certo, il Regolamento concede la possibilità a 8 senatori di presentare un nuovo emendamento il giorno stesso della seduta, ma allora potrebbe essere sub-emendato dagli altri senatori (sempre in numero di otto), con ulteriore rischio di incremento degli emendamenti. Insomma la strada della trattativa politica con il Carroccio rimane la più semplice ed è quella che sarà seguita nei prossimi giorni da Zanda e Alessandro Maran, da una parte, e i leghisti Roberto Calderoli e Giammarco Centinaio, dall'altra.



 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 12 Febbraio 2016, 09:25
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