Sos villaggio dei bambini: cosa succede a 18 anni ai ragazzi cresciuti fuori dalla famiglia di origine?

Sos villaggio dei bambini: cosa succede a 18 anni ai ragazzi cresciuti fuori dalla famiglia di origine?
Ogni anno, nel nostro Paese, sono circa 3.000 i care leavers – ovvero i giovani che in base alla nostra legislazione, raggiunta la maggiore età non possono più beneficiare della cura, della protezione e della tutela garantite dalla realtà di accoglienza residenziale – costretti, senza avere le necessarie tutele, ad avviarsi verso un percorso di autonomia economica e lavorativa.

È quanto emerge dall’innovativa ricerca dal titolo “Una risposta ai care leavers: occupabilità e accesso ad un lavoro dignitoso”, realizzata da SOS Villaggi dei Bambini in 10 diversi Paesi tra cui Austria, Croazia, Capo Verde, Spagna, Italia, Tunisia, Zimbabwe in collaborazione con il London University College e presentata oggi – ospiti dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza - in occasione del Festival dello Sviluppo Sostenibile di Roma, organizzato da ASviS, in concomitanza con la celebrazione della ratifica della Convenzione Onu per i Diritti dell’Infanzia (27 maggio). La ricerca è scaricabile da questo link: goo.gl/ArjIAr

L’indagine ha l’obiettivo di fare luce, per la prima volta, su quanti e quali ostacoli, allo stato dell’attuale legislazione, i care leavers siano costretti ad affrontare dal punto di vista, sociale, economico ed organizzativo per poter raggiungere indipendenza economica e stabilità lavorativa rispetto, ad esempio, ai loro coetanei che vivono in famiglia. Oltre a questo, SOS Villaggi dei Bambini vuole indagare le strutture, le policy, i processi, le prassi e le misure di supporto che possono avere un impatto sull’occupabilità e l’inserimento lavorativo dei neomaggiorenni in uscita dai percorsi di tutela.

“Purtroppo la presa in carico e la responsabilità del servizio pubblico cessa al compimento del 18° anno di età: si tratta, in pratica, di una transazione forzata verso l’età adulta che non tiene in nessun conto dei travagliati percorsi personali di questi ragazzi, oltre che della difficile situazione economica che sta colpendo soprattutto i giovani nel nostro Paese. - dichiara Roberta Capella, Direttore Generale SOS Villaggi dei Bambini – In Italia, ad oggi, oltre a non esistere una raccolta dati omogenea su questo fenomeno, non esiste neanche una normativa specifica che si occupi dell’accompagnamento all’autonomia dei maggiorenni in uscita dei percorsi di accoglienza: l’unica deroga a questa norma è l’applicazione di una disposizione (art. 25 R.D. 1404 risalente al 1934) che consente al Tribunale dei Minori di estendere, in alcuni casi, il sostegno e l’accompagnamento sociale fino al compimento del 21° anno di età. Questa misura non viene di fatto più applicata nella maggior parte dei territori per mancanza di fondi. Eppure non prevedere un graduale accompagnamento verso l’autonomia di questi ragazzi, che terminano la loro esperienza di vita presso una comunità di accoglienza, significa mettere a rischio tutto il lavoro fatto prima e le somme stanziate per seguirli durante l’infanzia e l’adolescenza che vengono così vanificate perché questa mancanza si trasforma in un ritorno dei ragazzi nei servizi sociali per adulti”.

Ai giovani inseriti in strutture di accoglienza, il nostro Ordinamento richiede di essere autonomi e indipendenti a 18 anni, molto prima dei loro coetanei che vivono in famiglia. In Italia, secondo gli ultimi dati Eurostat 2015, anche a causa della scarsa occupazione giovanile, la percentuale dei giovani, tra i 25 e i 34 anni che vivono ancora con i genitori è del 50,6% (era al 44% nel 2011), quasi 22 punti in più rispetto alla media europea (dietro solo alla Grecia con il 53,4%). In pratica, nel nostro Paese, i giovani non lasciano la famiglia di origine prima dei 30 anni.

Dunque, la richiesta fatta ai giovani care leavers non è assolutamente compatibile con la situazione vissuta dai ragazzi che hanno dovuto affrontare notevoli difficoltà nella loro vita e che spesso, ad esempio, si trovano a dover anche recuperare un percorso scolastico difficoltoso e frammentario a causa dei traumi vissuti durante l’infanzia.

Gli ultimi dati disponibili, pubblicati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e relativi all’anno 2012, parlano di 28.449 minorenni che vivono fuori famiglia in Italia, la metà dei quali in affido familiare mentre la restante metà in comunità di accoglienza o in case famiglia. Inoltre ogni anno, nel nostro Paese si investono oltre 500 milioni di euro per far fronte a tutte le spese relative al mantenimento e alla cura dei bambini e ragazzi che vivono presso le diverse comunità di accoglienza.

“Un’occasione importante di dialogo – afferma l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano - che vuole dare spazio alle domande e ai pensieri dei ragazzi cresciuti fuori famiglia che si proiettano al tempo del raggiungimento della maggiore età. L’indipendenza economica e lavorativa emerge come l’istanza più urgente per questi ragazzi che non possono contare sul sostegno familiare. L’ascolto dei ragazzi, anche in questa occasione, è lo strumento più importante per avvicinare il piano della enunciazione dei loro diritti con quello della loro applicazione pratica”. 

Proprio in merito alla Convenzione ONU, SOS Villaggi dei Bambini ricorda i punti 4 e 8 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile del Millennio relativi al raggiungimento di un’istruzione di qualità e di un lavoro dignitoso per le giovani generazioni. In particolare, l’Associazione pone l’accento sulle maggiori difficoltà che i bambini e i ragazzi privi di cure famigliari devono affrontare – rispetto ai loro coetanei che vivono in un contesto famigliare - per accedere a un’istruzione di qualità, a partire dalla prima infanzia e fino ad arrivare all’istruzione superiore. Proprio in quest’ottica, SOS Villaggi dei Bambini ha elaborato, tenendo in considerazione le esigenze dei ragazzi stessi, proposte concrete e raccomandazioni (cfr. scheda focus allegata) tra cui: pensare a quello che aspetta i ragazzi dopo il periodo di accoglienza sin dal primo giorno dell’accoglienza fuori famiglia d’origine, promuovere percorsi di occupabilità per i care leavers con l’obiettivo di valorizzare le loro competenze, le attitudini e le capacità affinché possano trasformarsi con il tempo in vere e proprie attività lavorative, infine, aumentare le possibilità di fare esperienze nel mondo del lavoro attraverso stage e tirocini formativi.

Ma non finisce qui, perché le implicazioni sono molteplici. Per un giovane che ha vissuto per un lungo periodo di tempo in un contesto di accoglienza denso di relazioni personali (con coetanei, educatori, volontari), nel primo periodo può risultare spiazzante anche il trovarsi ad abitare da solo. La solitudine crea un senso di smarrimento e la sensazione di non essere in grado di affrontare tutte quelle prove pratiche che la vita in autonomia comporta: dalla gestione del denaro alla richiesta dei documenti; dalla formalizzazione di un contratto al tentativo di far conciliare un nuovo lavoro con il proseguo degli studi.

Insomma, i care leavers - rispetto ai loro coetanei in famiglia - non possono decidere di posticipare il momento dell’uscita dalla realtà di accoglienza che li ospita.

“È come se avessi – spiega Fabio, 21 anni – un ultimatum, perché il mio progetto finisce obbligatoriamente a 18 anni e da li iniziano i problemi”.

“Se noi vogliamo provare ad avere successo nella vita – spiega un altro ragazzo di 25 anni – a noi non basta fare le cose che fanno i nostri coetanei, ma dobbiamo fare il doppio o il triplo perché mentre costruiamo il nostro futuro non abbiamo una base economica e morale a cui appoggiarci, ma dobbiamo crearcela da soli”.

“A 18 anni è troppo presto per cavarsela da soli – spiega un altro care leavers – per far uscire un giovane dalla comunità in cui ha vissuto bisogna almeno aspettare che finisca la scuola e che abbia un lavoro. Inoltre, per cercare casa e lavoro, ed imparare a gestire correttamente il denaro, serve ancora l’aiuto degli educatori perché da soli non possiamo farcela. Dopo l’uscita dalla comunità, per noi la soluzione va trovata in un periodo di tutoraggio in cui il ragazzo venga ancora seguito dai suoi educatori ed accompagnato fino all’indipendenza lavorativa ed economica”.

L’IMPEGNO DI SOS VILLAGGI DEI BAMBINI PER ACCOMPAGNARE I RAGAZZI VERSO L’INDIPENDENZA

SOS Villaggi dei Bambini opera secondo le Linee Guida ONU in materia di accoglienza fuori dalla famiglia d’origine e si impegna costantemente nell’accompagnare i giovani in uscita da percorsi di accoglienza nei Villaggi SOS, attraverso un progetto socio-educativo personalizzato, finalizzato all’autonomia e all’integrazione sociale. Promuove l’emancipazione dei giovani affinché raggiungano, laddove possibile, una reale autonomia lavorativa, abitativa e sociale. Favorisce l’acquisizione di nuove competenze specifiche, spendibili in ambito lavorativo, e rafforza le capacità personali e l‘autostima dei giovani in una logica di empowerment. Agevola il loro inserimento sociale e lavorativo attraverso la realizzazione di un percorso individualizzato di inserimento.

Inoltre SOS Villaggi dei Bambini cura la formazione degli operatori dei servizi sociali, degli educatori, degli psicologi e in generale di tutti coloro che giocano un ruolo nel mondo dei minorenni privi di cure familiari o a rischio di perderle, al fine di introdurre nel loro lavoro quotidiano, un approccio basato sui diritti dell’infanzia e sulla capacità di comunicare gli stessi diritti ai bambini e ai ragazzi. 

Grazie al supporto degli educatori che li aiutano a prendersi cura di se stessi e della propria salute, si insegna ai ragazzi a gestire le proprie spese e pianificare il proprio futuro.

BEST PRACTICE IN ITALIA, IL CASO DELLA REGIONE SARDEGNA

Al momento, esistono, a livello locale e regionale, alcune misure che tutelano i neomaggiorenni che sono in procinto di uscire dai percorsi di accoglienza: è il caso, ad esempio, della Regione Sardegna, l’unica regione in Italia ad aver introdotto una legge regionale specifica che si rivolge ai giovani tra i 18 e i 25 anni in uscita dalle strutture residenziali di accoglienza.

Questa legge prevede la definizione di un progetto personalizzato, della durata massima di 3 anni, che coinvolga i care leavers coordinati dalla figura di un tutor di intermediazione sociale che abbia il compito di accompagnare il giovane nelle diverse fasi di avvicinamento all’autonomia. A questo programma, ad esempio, si affianca – grazie ad un protocollo d’intesa tra la Regione Sardegna e la Direzione Regionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – la possibilità di effettuare un tirocinio atipico, ovvero un particolare tirocinio lavorativo dedicato proprio alla riabilitazione terapeutica o al reinserimento sociale dei ragazzi che escono dai percorsi di accoglienza.




 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 25 Maggio 2017, 14:56
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